Terzo appuntamento dello speciale di Camminando Scalzi sui referendum del 12 e 13 giugno. Nell’articolo di oggi parliamo del terzo quesito, quello sul nucleare. È indispensabile fare una premessa. Nel seguito si parlerà spesso di “produzione di energia”. Purtroppo, l’ignoranza scientifica imperante produce delle storpiature nel linguaggio corrente e, cosa ancora peggiore, in quello giornalistico, che fanno sì che marchiani errori o lacune culturali diventino concetti assodati per il grande pubblico. L’energia non si produce, si trasforma. Detto ciò, andiamo avanti, sperando che il sacrificio di una volta serva a rendere la faccenda più chiara e a non generare confusione.
In seguito ai tristi avvenimenti giapponesi, l’argomento ha suscitato discussioni e dibattiti ancora più accesi rispetto a quelli, pur intensi, dei mesi precedenti. Si è (ri)cominciato a parlare di nucleare, infatti, nel 2008, quando l’appena insediato governo Berlusconi IV propose il ritorno alla produzione di energia nucleare sul territorio italiano. Cominciamo col dissipare un dubbio ricorrente: perché si riparla di energia nucleare se nel 1987 un altro referendum ne aveva già sancito il divieto? La domanda è di per sé fuorviante. Il referendum del 1987 era, esattamente come quello del mese prossimo, di tipo abrogativo. Mirava, ossia, a cancellare una serie di norme che disciplinavano la materia nucleare. Per sua stessa natura, un referendum abrogativo non può imporre un divieto, per il quale occorrerebbe proporre una legge, ma solo cancellare dei provvedimenti esistenti. In particolare, in seguito alla netta affermazione dei sì, furono aboliti il diritto dello Stato di scavalcare un rifiuto di un comune alla costruzione di una centrale nucleare sul suo territorio, l’erogazione di un compenso economico per gli enti locali interessati dalla presenza di una centrale e la possibilità per l’Enel di costruire centrali all’estero. La costruzione di nuove centrali o il mantenimento delle esistenti furono quindi, di fatto, resi impossibili, ma non vietati per legge. Esattamente la stessa cosa che succederebbe adesso nel caso in cui fosse raggiunto il quorum e prevalessero i sì.
Veniamo al quesito su cui siamo chiamati a esprimere un parere. Il testo che troveremo sulla scheda è chilometrico. Propone sostanzialmente l’abrogazione di tre provvedimenti legislativi emessi dal governo attualmente in carica. Il primo è la legge 133/2008, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria”, che fissa fra gli obiettivi urgenti la “realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare” (frase che il quesito propone di cancellare). È stata la prima scintilla che ha fatto scoppiare la vicenda. La seconda norma interessata dal referendum è la legge 99/2009, “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”. Oltre ad altri provvedimenti concernenti vari argomenti, la norma conferisce al governo la delega per la localizzazione degli impianti nucleari e la definizione dei compensi per le popolazioni che li accolgono. Per impianti non si intendono solo le centrali, ma anche i depositi delle scorie (la cui gestione viene affidata alla Sogin, una società costituita nel 1999 per gestire lo smantellamento delle vecchie centrali). Inoltre, viene disposta la determinazione delle procedure per le autorizzazioni e dei requisiti necessari. Viene anche istituita l’Agenzia per la sicurezza nucleare. La terza norma soggetta al quesito referendario è il decreto legislativo 31/2010, che, per dirla in parole povere, definisce i punti già previsti dalla legge 99/2009 dandone attuazione.
È utile soffermarsi sugli argomenti a favore del sì e del no. I fautori del ritorno all’energia atomica affermano che le centrali nucleari sono l’unico strumento che garantisce una produzione massiccia e continua di energia, resa necessaria dall’enorme fabbisogno energetico, peraltro in continua crescita. Ciò è probabilmente vero, ma non rappresenta la soluzione del problema. Il fotovoltaico e l’eolico sono, per loro natura, tipologie di energia la cui produzione non può che essere discontinua: i pannelli solari funzionano sostanzialmente di giorno, le pale eoliche quando c’è vento. Per questa ragione non forniscono energia 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e di conseguenza occorrono fonti energetiche diversificate e sfruttate in parallelo, affinché il fabbisogno sia costantemente coperto. Peccato, però, che la maggior parte della domanda di energia si verifichi proprio durante il giorno, ossia nel pieno del funzionamento dei pannelli solari. In tal modo, il solare diventa il maggior concorrente delle fonti tradizionali, in virtù anche di un altro fattore: la capillarità. I pannelli solari si prestano a un’installazione in piccola scala, destinata alla produzione di energia per il consumo personale. Ognuno potrebbe produrre l’energia che gli serve, attingendo pochissimo alla rete elettrica o, addirittura, riversandovi il surplus di energia sviluppata e non consumata. Qui però si apre il discorso delle smart grid, che meriterebbe una trattazione a sé. Per di più, il nocciolo della questione (visto che siamo in tema di nucleare…) non è il prezzo dell’energia prodotta. Quest’affermazione può sembrare assurda, ma il dibattito sull’opportunità o meno del ritorno all’atomo ha visto l’intervento di innumerevoli parti, ognuna delle quali ha citato studi condotti da vari organismi, col risultato di aver prodotto una selva di numeri. Non solo la contrapposizione di voci discordanti appare come uno sterile pareggio, ma vi sono argomenti più importanti per decidere cosa votare. O almeno così dovrebbe essere. Il prezzo dell’energia dovrebbe venire dopo la sicurezza della popolazione. Le conseguenze di un incidente a una centrale nucleare sono talmente catastrofiche da far passare in secondo piano qualsiasi altra considerazione. Affinché sia così, tuttavia, occorre che il valore della vita umana sia superiore a quello della moneta, cosa che, purtroppo, non è del tutto scontata per molta gente. Si parla molto della sicurezza e dell’affidabilità di una centrale nucleare. Non si parla altrettanto del significato del termine sicurezza. Per qualsiasi opera pubblica o, in ambito più generale, qualsiasi manufatto esiste una probabilità di malfunzionamento, basata su determinati fattori di sicurezza. Questo significa che non esiste nulla che sia assolutamente garantito immune da problemi. Il Titanic doveva essere inaffondabile… Chi è disposto a scommettere sull’infallibilità di un impianto nucleare a 20 km da casa sua? Non è allarmismo, è semplice valutazione del rischio, inteso come combinazione della probabilità del verificarsi di un problema e delle conseguenze del problema stesso.
C’è altro? Sì, un mucchio di scorie. Ogni reattore produce, oltre all’energia, anche una notevole quantità di scorie, alcune delle quali hanno un’emivita (il tempo per il quale il materiale radioattivo rimane tale) di migliaia di anni. Le scorie vanno custodite in discariche adatte, depositi sicuri e a tenuta stagna per tempi lunghissimi. Deserti e steppe a parte, luoghi del genere sono molto ardui da trovare. In Francia e in Germania il problema è stato solo aggirato, con depositi che hanno in realtà evidenziato gravi problemi. In particolare la miniera tedesca di Asse rischia di trasformarsi in una bomba ecologica.
Se proprio si vuole insistere sull’aspetto economico, basti ricordare che le centrali che verrebbero costruite in Italia sono del modello francese EPR (che non corrisponde, come spesso si sente blaterare, alla famosa quarta generazione), analoghe a quella in costruzione da anni in Finlandia, la cui consegna è già stata rinviata più di una volta e il cui prezzo, nel frattempo, è notevolmente lievitato rispetto a quello previsto. Seguendo i piani inizialmente prospettati dal governo italiano, le prime centrali vedrebbero la luce intorno al 2020. Non ha senso investire una tale quantità di denaro in un progetto che rischia di essere obsoleto dalla nascita. Non a caso in vari paesi europei, Germania in testa, si registra una vigorosa marcia indietro sul programma nucleare già in atto. Mentre gli altri si accingono a spegnere le loro centrali, noi progettiamo di accenderne. Il tutto, senza contare il rinvio di due anni recentemente imposto dal governo Berlusconi alla tabella di marcia italiana. Nel primo articolo dello speciale abbiamo già parlato del tentativo di annullare il referendum messo in atto dalla maggioranza. Si attende il verdetto della Corte di Cassazione, atteso per la fine del mese.
Nel caso in cui il quesito riguardante il nucleare fosse eliminato, restano comunque altri tre ottimi motivi per andare a votare, i due quesiti sull’acqua pubblica, di cui abbiamo già discusso, e quello sul legittimo impedimento. Ma questa è un’altra storia.
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