Ricordi di un'indignata a Roma

“O mi mette di sotto il potente di turno o mi mette sotto il violento di turno… perché c’è sempre qualcuno che mi mette di sotto?”
(da una donna intervistata durante gli scontri)

Voglio ricordarmi che quella di ieri è cominciata come una normale manifestazione, colori, allegria, voglia di dare forma alla propria rabbia e indignazione. Questo voglio dirlo subito, poiché le immagini che gireranno per giorni, che rimarranno impresse nelle memoria, riguarderanno tutta la gamma degli scontri violenti. Voglio ricordarlo a tutti coloro i quali leggeranno questo articolo ma, soprattutto, voglio ricordarlo a me che c’ero, e ora mi sento sconfitta per quello che è stato, e per quello che invece avrebbe dovuto essere.

Voglio ricordarmi che non sono mai stata una vera e propria pasionaria, tutt’altro; sono abbastanza pigra, odio la confusione e il caos, e soprattutto per scelta non ho mai militato attivamente in nessun partito politico. Un po’ per amore, un po’ per amicizia, un po’ perché da cittadina sento il peso di un debito schizzato al 120%, che mi appartiene manco per un quarto (ma che mi vorrebbero far pagare per intero), sono partita alla volta di Roma.

Voglio ricordarmi il clima di festa, più che indignazione, che mi ha incoraggiata a muovermi, nella speranza illusoria che le persone, spinte dalla musica e dalla festa, si sarebbero unite al corteo, in un disagio che è evidentemente di tutti, ma che in troppi non riescono a mentalizzare.

Voglio ricordarmi che la prima impressione, giunta a piazza della Repubblica, è stata quella di una macchia di colore vastissima, variegata; un luogo neutro, facce sconosciute, con cui nonostante tutto parlare e sorridere, perché si è lì per una causa comune, e perché essere meno soli ti fa sentire che qualcosa di buono è ancora possibile.

Voglio ricordarmi i primi passi, alla testa del corteo, dietro il camion dei Cobas, che nulla facevano presagire di quello che sarebbe stato. Voglio ricordarmi quel camion perché all’inizio è stato solo un normale mezzo di trasporto a cui fare riferimento, per poi diventare ore dopo la piccola barricata dietro cui nascondersi nei momenti di panico.

Voglio ricordarmi della prima tranche di automobili distrutte, le “più fortunate” con i vetri rotti, la più disgraziata invece completamente bruciata. Una macchina può scoppiare? Oppure brucia senza mai saltare in aria? Questa domanda me la ponevo passandoci accanto, me la sarei posta più volte nel corso della giornata. Vorrei anche ricordare di una ragazza dietro di me, una manifestante come tante che ha urlato: “Hanno fatto bene a sfondarle, sono macchinoni. I proprietari le tasse le evadono, hanno fatto bene”. Ora, immagino che la suddetta signorina avesse contatti diretti con i commercialisti dei proprietari di questa autovetture, altrimenti non so spiegarmi tanta scienza in una frase sola.

Voglio ricordarmi il Colosseo, e purtroppo non per la bellissima cornice storica e artistica. Proprio più avanti ai Fori Imperiali c’erano ad attenderci un gruppo omogeneo e compatto di circa cinquecento persone pronte a bloccare il corteo. Ora, li chiamo black bloc solo per assecondare la scelta cromatica di questi signori, in quanto l’attribuzione più consona per definirli me la tengo serbata nel cuore, lasciando a voi la possibilità di scegliere il nome maggiormente confacente. Tutti i partecipanti hanno spinto per allontanare questi personaggi dal nostro cammino, invitandoli a scegliere una via di comunicazione e protesta che non intralciasse la volontà sacrosanta dei cittadini di manifestare. Il passaggio si è liberato, ma da quel momento la violenza ci ha imprigionato tutti.

Voglio ricordarmi che la sciarpa l’avevo portata per ripararmi dal vento, e non dall’odore acre delle macchine, dei cassonetti incendiati e dall’effetto dei lacrimogeni. Voglio ricordarmi delle persone che scappavano, uno accanto all’altra. Quelli sono stati sicuramente i momenti peggiori, perché non si conosceva il motivo della fuga, ed eri aperto a tutte le possibilità; poteva essere una carica della polizia, un cassonetto incendiato, un fumogeno, un petardo, una spranga che dal nulla cominciava a picchiare. Nell’impossibilità di vagliare con la dovuta calma tutte le opzioni, il consiglio che mi hanno offerto è stato quello di rimanere calma, non correre, e aspettare vicino al camioncino che la situazione si calmasse.

Voglio ricordarmi di tutto quello che mi circondava: dello speaker che annunciava di mantenersi sempre sul lato sinistro per la paura che qualcosa potesse scoppiarci accanto; dell’abitazione completamente in fiamme, e di altre due macchine distrutte; delle camionette della polizia, che non sapevi mai se e quando avrebbero deciso di caricare.

Voglio ricordarmi di tutto quello che mi circondava: una faccia serena che ti sorride, ti prende per mano, e ti dice di stare tranquilla; amici che percepiscono visibilmente la tua paura e ti dicono che non succederà niente, che tra poco ce ne andremo… loro non sanno se è vero, ma te lo dicono comunque.

Voglio ricordarmi di una paura paralizzante di cui non so parlare, ma che mi ha accompagnato fedelmente per parte della giornata. Voglio ricordare le lacrime che non riuscivano ad uscire, e della frase con cui mi consolavo nel difficoltoso cammino: “Giunti a piazza San Giovanni sarà tutto finito e finalmente ce ne potremo andare”. Voglio ricordarmi dell’annuncio dello speaker poco dopo: “Ci hanno appena informati che hanno iniziato a caricare a piazza San Giovanni”.

Voglio ricordarmi dei signori (solo di nome, non certo di fatto) vestiti di nero, che ci camminavano accanto, poi sparivano, bruciavano, e ritornavano in mezzo a noi. In particolare voglio ricordarne uno, a 20 metri da me, che ha ben pensato di buttare una molotov nel cassonetto. A queste persone vorrei dire brevemente alcune cose:
-A meno che non siate Audrey Hepburn, il total black ormai è davvero fuori moda, per di più non fate paura a nessuno agghindati di quella maniera, quindi per i prossimi eventi mi orienterei su altri effetti visivi.
-Siete liberi di agire nella maniera che ritenete meglio opportuna, però fatelo lontano da chi ha scelto di protestare in maniera differente.
-Se credete nella giustizia delle vostre azioni fatevi guardare in faccia, non vi nascondete dietro caschi, occhiali e maglioni… ma soprattutto dopo aver distrutto tutto non ritornate camuffati nella massa indistinta, nella speranza di salvarvi da eventuali scontri, soprattutto perché tra la massa indistinta di sabato c’erano anche dei bambini, e questo non è giusto.
-Da cattolica, al Cristo in cui credo, le gambe e le braccia gliele hanno spezzate per davvero su una croce, quindi figuratevi quanto mi possa impressionare per due statuette rotte.
Le buone idee fanno più rumore, a lungo termine, di una città distrutta.

Voglio ricordarmi di Piazza San Giovanni, dei palazzi enormi che ci circondavano, dei portoni chiusi, e dei fumogeni che rendevano l’aria irrespirabile. A circa trecento metri gli scontri erano nel vivo, la polizia era davanti, era dietro, e non sapevamo quando e in che modalità avrebbe deciso di farsi sentire. Voglio ricordare anche una bambina, di circa 10 anni, in piedi vicino ad un lampione; non so perché fosse lì, ma soprattutto non so cosa le sarebbe rimasto dentro di tutto questo.

Voglio ricordare ancora una volta il camioncino dei Cobas, perché in piazza, coperta da una bandiera, ci ho vomitato vicino tutto il pranzo, ma anche un pò di paura e di tensione.

Voglio ricordare il momento in cui siamo riusciti ad allontanarci per una via retrostante, pochi istanti prima che le camionette partissero con l’uso degli idranti. Voglio ricordare la gioia, non di essere lì a protestare, ma di essermene finalmente potuta andare.

Voglio ricordarci, infine, che in Italia il debito pubblico, a metà del 2011 è di 1.911 miliardi di euro, e questo non ce lo possiamo dimenticare a causa degli scontri. Il debito appartiene, come riportato dal gruppo “Rivolta il debito”, per più del 43% a soggetti non residenti, quindi all’estero, presumibilmente grandi istituzioni finanziarie. Voglio ricordarci che una sospensione del rimborso del debito e la creazione di un Audit pubblico (verifica dei conti) permetterebbe di individuare i debiti da annullare, ripudiare, o rinegoziare. Per maggiori informazioni ecco il sito: www.rivoltaildebito.org

Voglio ricordarci che valiamo più di un debito, ma soprattutto che è ancora il tempo di sperare, ed è sempre il tempo per darci ancora una nuova possibilità.

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Cronaca di una primavera spagnola al Sol

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Camminando Scalzi presenta un ampio reportage scritto dal nostro caro amico Stefano Silvestri, che vive a Madrid, e ha documentato con questo bellissimo articolo la carica degli Indignados. Da noi in Italia non se n’è parlato molto, approfondiamo insieme l’argomento. In apertura dell’articolo una interessantissima videointervista a Jesus, uno dei ragazzi del movimento, che ci racconta un punto di vista interno, a seguire l’ampio articolo informativo. Buona lettura a tutti.

La Redazione di Camminando Scalzi

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httpv://www.youtube.com/watch?v=RKSnZJEqhj4

“Los indignados”, “Movimiento 15-M”, “Primavera española”, “SpanishRevolution”, “AcampadaSol”. Queste solo alcune delle etichette affibbiate a un movimento che oggi festeggia due settimane nelle principali piazze spagnole.

Madrid, Barcelona, Granada, Siviglia, Saragozza, e tante altre città, vivono una privamera di proteste prolungate, pacifiche e propositive, che trovano le loro radici nel malcontento generale verso un sistema politico/finanziario malato, che ha portato la Spagna a essere uno dei paesi occidentali maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria internazionale. Basti pensare che la disoccupazione sfiora il 22% della popolazione, con più di 5 milioni di persone senza lavoro, e tra i giovani la percentuale sale a un 45% di disoccupati. Presupposti che il 15 maggio scorso hanno riunito quasi ventimila persone a Madrid, che a ritmo di Batucada hanno protestato in forma pacifica dalla Plaza de la Cibeles fino alla piazza storica di Madrid, Puerta del Sol. Tra i manifestanti tanti giovani, ma anche una buona percentuale di persone tra i trenta e i quaranta anni, che al grido di slogan come “no nos representan” (non ci rappresentano),  “lo llaman democracia y no lo es” (la chiamano democrazia ma non lo è) e “La voz es nuestra arma” (la voce è la nostra arma),  hanno occupato la Puerta del Sol verso le 19 e hanno letto un manifesto, nel quale si è voluta affermare un’indignazione largamente condivisa per essere vittime di una crisi senza averne alcuna responsabilità. Fino a questo punto la cosa non ha rappresentato nulla fuori dal comune; la solita manifestazione, se non fosse stato per una cinquantina di ragazzi che, rimasti a discutere fino a tarda notte, hanno preso la decisione di dormire nella piazza.

All’alba i ragazzi sono stati violentemente sgomberati dalla squadra “antidisturbios” della polizia di Madrid, e il gesto evidentemente ha prodotto un effetto contrario a quello desiderato da politici e commercianti della zona, i primi preoccupati per eventuali ripercussioni della manifestazione sulle imminenti elezioni (il 22 di maggio), i secondi colpiti dal forte calo di afflusso di turisti alla zona.

Il giorno seguente viene convocata un’assemblea di massa alle 20, a Puerta del Sol, pubblicizzata da reti sociali come twitter e facebook, e amplificata dagli episodi violenti della mattinata. L’effetto sono più di trentamila persone, che riempiono il Sol e le vie adiacenti, che decidono di nuovo di accamparsi per dormire. Ma stavolta non sono solo una cinquatina, sono molte centinaia che, aiutate da tutta la piazza, piantano vari tendoni per ripararsi dalla pioggia. Tutti si rendono utili: chi porta i sacchi a pelo, chi sedie e divani, chi banchetti di legno per formare piccoli tavoli; e da quel momento Sol diventa una piccola città, giorno dopo giorno. Prima una cucina da accampamento, una biblioteca, un comitato per la pulizia della piazza, poi un centro dove si raccoglie tutto il materiale audiovisivo di chi ha filmato o fotografato la protesta, una ludoteca per i manifestanti che hanno figli e che proseguono la protesta all’interno della piazza.

Attraverso un’assemblea generale viene deciso con un plebiscito che la protesta deve andare avanti fino a domenica, giorno delle elezioni amministrative, nonostante il totale apartitismo del movimento, e che si deve iniziare a stilare una serie di proposte costruttive da presentare a chi governa. E così da piccola città in costruzione, Sol diventa un sistema complesso di assemblee, comitati e commissioni, ognuna con la sua specificità: lavoro sociale, politica, economia, teatro, audiovisivi, azione, sono solo alcune delle assemblee che si celebrano ogni giorno nelle piazze intorno al Sol, formate quasi sempre da meno di venti persone, per ovviare alla legge che non permette manifestazioni e assemblee nei giorni che precedono le elezioni. L’organo centrale chiaramente rimane l’assemblea generale giornaliera, nella quale vengono votate tutte le proposte approvate dalle varie sub-assemblee. Gli accampati rimangono e superano il giorno delle elezioni (stravinte dalla destra), e il movimento ripropone una votazione per decidere se continuare o decentrare nei quartieri l’ormai collaudato sistema. Ancora una volta con un plebiscito viene deciso di rimanere un’altra settimana al Sol.

Una settimana dove l’affluenza alla piazza però cala, per la stanchezza di coloro che portano già una settimana sulle loro spalle, e per il normale distacco di alcuni, che vedono all’interno del movimento forme di potere. Nonostante ciò la concentrazione si mantiene, e ci sono anche tante televisioni, fotografi, giornali, tanta risonanza nazionale e internazionale per ciò che accade. Sol, oltre ad essere il traino per altre città spagnole, nelle quali si seguono i passi della capitale, inizia a trovare seguiti in città come Roma, Atene, Parigi e Bruxelles.  Arrivati alla soglia delle due settimane di accampamento,  i manifestanti discutono sul da farsi, di rimanere nella piazza o di spostarsi nei quartieri, con appuntamenti mensili per un’assemblea generale. L’opinione pubblica ormai parla di smantellamento  dell’accampamento, tutto sembra al suo capolinea, ma succede una cosa, una nuova energia per i manifestanti. Il 27 di Maggio, a Barcellona, “Los Mossos” (squadra speciale), ricevono l’ordine di liberare Plaza Catlunya dai manifestanti per motivi di pulizia, in vista della finale di Champions, Barcelona – Manchester, del giorno seguente. Los Mossos usano una violenza brutale per far passare le camionette che devono pulire la piazza.


httpv://www.youtube.com/watch?v=1l-n9reQpIE

E di nuovo quello che sembrava ormai finito, si risveglia al grido di solidarietà per Barcellona. Nella capitale catalana la piazza si riempie di migliaia e migliaia di persone, anche anziane, indignate dalla violenza usata nella carica dei Mossos. A Madrid si vota la permanenza al Sol, e di nuovo la piazza è quella dei primi giorni, straripante di gente. Un primo manifesto viene stilato, le proposte si riducono da centinaia e centinaia a poche decine, votate nell’assemblea generale. Riforma del sistema elettorale, chiusura di tutte le centrali nucleari, condanna alla corruzione (fuori i condannati dalle liste dei partiti), reale separazione dei tre poteri, esecutivo, legislativo e giudiziale, sono solo alcune delle proposte che al giorno d’oggi emergono dalla sintesi di tanti cervelli e di tante idee. Un movimento, quello del 15-M, che sicuramente farà parlare di sé ancora per molto. Una concentrazione di persone che non si era mai vista prima d’ora in Spagna e che, prima o poi, dovrà fare i conti sull’effettiva possibilità di riconoscersi in un partito politico.