Probabilmente in molti ricorderanno un famoso Reggina-Chievo, partita valida per gli ottavi di finale della Coppa Italia 2006-2007, giocata ad ora di pranzo in infrasettimanale per esigenze televisive (e già qui si può sorridere) e che vide nel settore ospiti uno degli striscioni più memorabili visti in uno stadio di calcio.
Tre, e ribadiamo tre, tifosi del Chievo che avevano attraversato tutto il paese esposero un drappo con su scritto: “Non avevamo un ca… da fare“. Eloquente, non c’è che dire. Già, perchè quello fu un segnale chiarissimo di come la manifestazione fosse diventata davvero un fastidio. Per tutti, le grandi e le piccole. Le grandi per un calendario già intasato dalle competizioni continentali e le piccole perchè non avevano rose adatte a così tante partite. Un primo cambiamento avvenne già l’anno successivo, con la prima finale in gara unica da tempo immemore: Roma-Inter 2-1, in uno stadio “Olimpico” stracolmo. Da qui la decisione di far disputare sempre la finale a Roma in stile Wembley (evidentemente c’è sempre un modello inglese da seguire!). Sul fatto che si giochi sempre nello stesso stadio e che sia quello di due delle principali squadre di Serie A che hanno l’opportunità di giocare la finale in casa se ne può discutere perchè difatti è una stupidaggine colossale (a Wembley infatti non gioca nessun club) ma l’idea di fondo è corretta.
L’allora presidente della Lega Calcio Matarrese esportò nel 200/2009 il modello della Coppa di Francia, con una serie di turni preliminari in gara unica (chi gioca in casa lo decide il sorteggio) e con le “teste di serie” (le prime otto classificate del campionato precedente) che subentrano negli ottavi di finale giocando nel proprio stadio, “obbligando” le big a disputare solo cinque match (finale compresa, visto che solo le semifinali rimangono con la vecchia formula andata-ritorno) per alzare la Coppa. Sembra aver funzionato. Match molto più spettacolari e molta più voglia di andare avanti nella competizione (ok, non come in altri paesi ma è già qualcosa). Per un curioso fenomeno solo l’anno scorso si è avuta una finale senza una squadra romana impegnata (quindi fino a quel momento era ovvio avere lo stadio pieno) ma l’invasione pacifica dei palermitani ha dimostrato che ottantamila persone sono fattibili anche se sono impegnati due team che arrivano dai capi opposti del nostro paese.
Anche l’edizione attuale sembra confermare l’andazzo. Si sono viste partite molto spettacolari, come Milan-Lazio, Napoli-Inter e Juventus-Roma, più la sorpresa Siena arrivata fino alle semifinali e ad un passo da una incredibile qualificazione all’Europa League (la Coppa Italia assegna un posto nella seconda competizione europea). Memorabile anche la doppia sfida fra le attuali dominatrici del campionato di Serie A, Milan e Juventus, conclusasi solamente ai tempi supplementari dopo due incontri “veri”. E la finale? Napoli-Juventus. Si, siamo ad aprile e se ne parla già da settimane. Richiesta di biglietti oltre ogni più rosea aspettativa, con consequenziale polemica del presidente azzurro De Laurentiis che voleva far disputare l’atto finale a Milano. Polemiche sul sistema di vendita (la tessera del tifoso andrà anche in pensione ma continua a far discutere oltremisura) e su eventuali prelazioni, così è facile prevedere una vera e propria “caccia al tagliando”.
La Coppa Italia sembra aver riacquistato l’antico prestigio dunque. Ci sono altre proposte per cercare di renderla ancora più appetibile, come ad esempio assegnare un posto in Champions League a chi la vince, ma per il momento può andar bene così. Con buona pace di quei meravigliosi tre tifosi del Chievo.