Cortigiani, vil razza dannata…

Sono un pastore. Un pastore sardo. Non come quelli dei vecchi stereotipi (sì, conosco anche il significato di questa parola, non vi sembri strano) del pastore che sta fuori casa per settimane intere e per nostalgia dell’alcova domestica si accoppia con la pecora preferita. Io amo tutte le mie pecore e non mi accoppio con nessuna di loro. È vero che ho per loro una grande cura e se posso faccio loro una carezza quando le aiuto a partorire gli agnellini. Poi, più tardi, spartisco con i piccoli un po’ del latte delle loro madri, perché insieme a loro riesca a vivere, o sopravvivere, anche io e la mia famiglia. Mi piace leggere e informarmi; so che questo meccanismo, nella natura che io frequento tutti i giorni, si definisce “simbiosi”, che è come nutrirsi ognuno della vita degli altri.

Oggi sono un po’ triste, perché mia figlia è partita per lavorare in “continente” e io non le ho detto niente perché lei sa già come la penso: che ognuno è libero di cercare la propria libertà rispettando quella degli altri. Per evitare di parlarne con mia moglie e tenere su un tono dignitoso la nostra solitudine, ho preso uno dei DVD che mia figlia teneva fra tutte le cose che ha lasciato qui. Rigoletto. Mio padre carabiniere, che non c’è più da tanto, me ne parlava quando ero bambino. Ho visto e sentito una cosa che mi ha fatto così male che per nascondere il mio dolore ho dovuto far finta di andare in bagno, per non far vedere a nessuno che mi veniva da piangere. Il gobbo Rigoletto che inveiva contro i servi fedeli del Duca di Mantova: “Cortigiani, vil razza dannata, per qual prezzo vendeste il mio bene? A voi niente per l’oro sconviene, ma mia figlia è impagabil tesor!”

Perché anche io ho pensato a mia figlia in modo diverso, non più come una bambina da coccolare, ma come a una donna “con le palle” che sfida il mondo pieno di ipocriti per costruire il suo futuro. E ne vado fiero. In tv passa un servizio su Ruby, su Emilio Fede, sulla Minetti e sulle ragazze dell’Olgettina. Già visto, troppe volte. Mentre Rigoletto soffriva (altri tempi!) per la verginità di quella stronzetta della figlia, lui che aveva fatto della derisione e del pettegolezzo il proprio mestiere, a servizio del potente di turno (il parallelo con Fede, Sallusti, Minzolini, Lupi, Bondi è voluto), io ho pensato a mia figlia che dovrà combattere contro i cortigiani, contro chi abusa degli altri per “affermare” sé stesso, e a tutti i giovani che dovranno combattere con lei per riprendersi il futuro. Qui in Sardegna riconosciamo i venti, abbiamo imparato in millenni a conoscerli e a prepararci per i cambiamenti che porteranno domani, dopodomani, negli anni. Oggi ho sentito un vecchio vento, stavolta arrivava da un altro mondo, dal Sud, dalle coste dell’Africa. Sapeva di sabbia, di caldo, di fatica e sudore. Se oggi potesse sentirlo Garibaldi, nel suo eremo di Caprera, nel nord della mia isola, son sicuro che respirerebbe i profumi del rosmarino, del mirto, dell’anarchia, della libertà. E domani avrò ancora più rispetto e amore per le mie pecore e condividerò con loro la mia acqua, se avranno sete.

 

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Mimosa nera

Oggi è la festa della donna e io mi chiedo cosa ci sia da festeggiare.

Che senso ha andare nei locali, mangiare una pizza con le amiche, assistere a degli spettacoli più o meno di buon gusto e ballare, ballare con una spensieratezza che non ci possiamo permettere? Non che ci sia qualcosa di male in questo, sono la prima a trovare la cosa divertente, ma non oggi. Mentre tutti sembrano fare a gara per chi è più bravo a rispettare la dignità o il corpo delle donne, solo noi sappiamo che oggi non c’è festa per le donne.

Donne come Gabriella, la precaria della scuola di Salerno costretta a chiedere aiuto per mangiare attraverso una sottoscrizione. Donne violentate, infibulate, perseguitate a casa come in ufficio da padri, mariti, amanti, datori di lavoro che hanno confuso l’amore con il possesso e il certificato di nascita o matrimonio con un contratto di compravendita. Donne dell’Olgettina, Ruby Rubacuori, che usano il proprio corpo come un salvadanaio, e non ci vuole molto a capire qual è la fessura da cui entrano i soldi e il buco da cui escono. Donne che devono lasciare il lavoro (una su due) con la nascita di un figlio per nidi assenti, e nessun supporto da parte dello Stato nella crescita dei figli. Donne giovani che non si sono mai inserite nel mondo del lavoro, e altrettante che per farlo sono costrette a fuggire dall’Italia. Donne a cui lo Stato toglie il lavoro, e con un certo sadico sarcasmo fa notare che non è vero, poiché essendo precarie in realtà non glielo ha mai dato. E questo avviene attraverso il più grande licenziamento di massa nel settore della scuola, dove la presenza femminile e nettamente predominante.

E soprattutto a danno delle donne del sud, quelle economicamente più svantaggiate e con meno possibilità di essere reinserite, che nella migliore delle ipotesi sono costrette a lasciare le famiglie per lavorare a centinaia di chilometri da casa; rappresentate da un ministro donna che ritiene un privilegio la tutela delle lavoratrici madri, che ritiene che abbiamo bisogno dei comunisti che ci fomentano per indignarci e che l’indignazione non è l’undicesimo comandamento. Un ministro che ritiene che la scuola possa “sopportare” un taglio di ulteriori ventimila insegnanti a danno della qualità, del tempo pieno dove presente e dove mai attivato malgrado le richieste delle famiglie che dovrebbero poter scegliere. E continua ad affermare che c’erano posti in più! Giochi di potere di cui conosciamo lo svolgimento, danneggiano sempre più il sud, e l’istruzione nostri figli. Ma non doveva migliorarla la scuola?

E ancora donne che per farsi strada devono sgomitare, devo fare gli uomini, e spesso  occupano posizioni di rilievo  solo per una mortificante quota rosa, come fosse una preferenza da handicap, o perché a detta del premier  sono ben vestite e non puzzano. Pur essendo consapevoli di ciò, ci raccontano la favoletta del merito.

Donne gonfiate, urlanti, che fanno gestacci in televisione, grottesche, non riesci a seguire i loro discorsi, perché l’occhio non riesce a scollarsi da quel disarmonico canotto che hanno al posto delle labbra. Donne imbellettate e profumate e vendute come pezzi di carne, come passatempi, da genitori e fidanzati e senza neanche la poesia della Magnani. Donne arrestate per aver rubato 2 magliette e a cui può succedere di essere violentate da tre uomini in divisa che dovevano proteggerle. Ma era una situazione amichevole. Amichevole come il gatto che gioca con il topo!

Giovanissime donne, o perfino  bimbe, che ancora oggi partoriscono prima dei quattordici anni, sono date in sposa, e in 700 metri di strada che portano dalla palestra a casa possono essere trucidate. Bambine che sotto il tetto che dovrebbero proteggerle, possono trovare uno zio o una cugina disposti ad uccidere perché piace loro un ragazzo, o  un padre “per il troppo amore” e per  dispetto contro la ex moglie. E infine donne, le sorelle d’Italia della Omsa, che hanno visto la loro vita buttata alle ortiche perché hanno preferito delle sorelle di altre nazioni che possono pagare con un piatto di riso e non riconoscergli nessun diritto. E come loro le donne di Pomigliano, dell’Alitalia, e tutte le cassaintegrate, disoccupate che lottano e resistono contro la miseria, e la fame che le cerca e le stana, e che al governo del fare chiedono solo di fare… fare qualcosa contro questa emorragia di lavoro che sta uccidendo l’Italia.

Donne che sfamano una famiglia di 4 persone con 100 euro la settimana, che pagano le bollette, che fanno i conti e che non tornano mai, che seguono i figli a scuola, si svegliano presto, cucinano, fanno la spesa, riordinano casa, protestano, scrivono pensieri su Facebook per sentirsi meno sole, per sentirsi più capite, e che, anche quando non si piegano, sentono il peso del loro cervello, delle loro idee e di quella sensibilità tutta femminile. E perfino per tutte quelle altre di cui tutti ignorano il colore degli occhi.

Per tutte loro, per tutte noi, nessun fiore oggi: solo opere di bene.

Perché è bene che alziamo la testa tutti insieme e che oggi doniamo solo mimose nere, perché non si può sostituire la dignità con una festa, e una festa di un giorno non può cancellare le umiliazioni che abbiamo dovuto subire quest’anno.

C’era una volta un bel posto chiamato Italia…e dalle ceneri di questo, dopo il passaggio di Nerone, spero si possa costruire un posto più bello dove uomini e donne possano vivere felici in rispetto, autonomia e dignità.

Se non ora quando?

 

La dignità scende in piazza

Se non ora quando? È l’unica domanda che viene da porsi in un momento come questo. Ed è proprio per tale motivo che domenica 13 febbraio oltre 230 piazze italiane si sono riempite di donne e uomini uniti dal bisogno di rivendicare la dignità del genere femminile e dire basta a qualunque forma di discriminazione e sfruttamento.

Dire basta a una rappresentanza politica maledettamente sbilanciata a favore del mondo maschile, e dove il mondo femminile sembra troppo spesso rappresentato da ex igieniste dentali senza passione ed esperienza.

Dire basta a una rappresentazione maschilista e superficiale del genere femminile nei media, dove i culi vengono usati persino per pubblicizzare la marca di uno yogurt e una quinta di reggiseno trova più spazio dello sguardo fiero di una donna che ha qualcosa da raccontare.

Dire basta a un mondo del lavoro dove il tasso di occupazione femminile nel 2010 era uno dei più bassi fra i Paesi Ocse, e dove l’Italia precede solo il Messico e la Turchia. Le donne disoccupate superano il 50% e guadagnano mediamente il 20% in meno degli uomini, a parità di lavoro e posizione professionale. Un trend legato anche all’identificazione della figura femminile come unica responsabile del nucleo familiare, perché in Italia sembra che solo le donne maturino il desiderio di avere dei figli e solo le donne abbiano il dovere di crescerli sacrificando le proprie ambizioni professionali, come spiega “La mamma architetto” Daniela Scarpa su Camminando Scalzi il 13 febbraio.

Dire basta a quei 10 milioni e 485 mila casi di molestie sessuali sul posto di lavoro, risultanti da un’indagine indagine ISTAT pubblicata nel 2010, condotta su un campione di 24.388 donne di età tra i 14 e i 65 anni, da cui è risultato che il 51,8 per cento delle intervistate abbiano “subito nell’arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato come pedinamento, esibizionismo, telefonate oscene, molestie verbali e fisiche”.

Dire basta a quel 31,9% di donne italiane che nel corso della loro vita sono state, almeno per una volta, vittime di violenza fisica o sessuale. (Dato ricavato da una indagine ISTAT del 2006, su un campione di 25 mila donne tra i 16 e i 70 anni intervistate su tutto il territorio nazionale).

Dire basta a chi continua a mettere in discussione i diritti duramente conquistati nel corso della storia, come ha fatto Giuliano Ferrara, che dopo essersi fatto promotore della campagna “No aborto” nel 2008, oggi accusa i sostenitori di queste manifestazioni di dissenso di essere giacobini, neo-puritani e moralisti.

Dire basta all’europarlamentare Iva Zanicchi e alle sue assurde dichiarazioni pseudo-cattoliche sul “Gesù proteggeva le prostitute e diceva ‘chi è senza peccato scagli la prima pietra’”, come se proteggere significasse pagare settemila euro a prestazione sessuale (anche se minorenne), regalare farfalline di Swarovski e offrire incarichi pubblici a persone di dubbia competenza politica.

Dire basta a tutto questo e a coloro che hanno visto nella manifestazione del 13 febbraio solo una rivolta contro il Presidente del Consiglio e i recenti scandali che lo hanno coinvolto, perché questo movimento va ben oltre Silvio Berlusconi e il suo harem di via Olgettina: la misera rappresentazione di un sistema che oggi non possiamo più fingere che non esista.