[stextbox id=”custom” big=”true”]Un nuovo autore su Camminando Scalzi
Vi presentiamo oggi Edoardo Bozza, 20 anni, studente di economia con indirizzo banca e finanza presso l’università di Pisa. Edoardo ha sempre provato interesse e passione nei confronti della scrittura e della diffusione delle idee ed è anche per questo che ha deciso di unirsi ai blogger di Camminando Scalzi.it Supporta ogni forma d’arte, di qualsiasi tipo, purchè sia sincera ed espressa con la massima passione.
Benvenuto![/stextbox]
Cos’è l’opposizione? La forza di fronteggiare, di mettere in discussione o il tentativo di eludere ogni limite a noi illecitamente imposto?
Sinceramente, è un peccato che il termine “opposizione” sia strumentalizzato e assimilato da volti ignobili, non degni di prendere in carico un’attribuzione così solenne.
L’opposizione non è quella della politica; quest’ultima si può chiamare piuttosto “polemica”, “voce nel vuoto” o “sparo nel buio”, a vostro chiaro piacimento. L’opposizione, quella vera, è sopra a ogni virtù o valore morale; essa esclude ogni fuga o spiegamento, lasciando come unica e sola opzione l’affronto a testa alta delle voci forti e cupe di una imposizione illegittima.
Lo chiamavano Tank Man o, in italiano, semplicemente Rivoltoso Sconosciuto.
Egli rappresentò una voce capace di attirare come fossero magneti gli occhi di tutto il globo e ancora adesso, a distanza di anni, quella foto rimane impressa nelle menti e nei cuori liberi, dimostrandosi una figura di grande attualità, soprattutto alla luce dei fatti che tutt’oggi ancora avvengono.
L’opposizione. Un duro colpo a chi vuol portare avanti gli stati, le finanze, la vita dei cittadini, a piacer suo.
La forza risiede nell’animo e forse, talvolta, per il bene di tutti, è d’uopo mettere in discussione ogni propria razionalità e incorrere nell’affronto diretto.
Un piccolo e minuscolo – ma non inutile – uomo, posto immobile innanzi ai ferri del male.
Non si mette in dubbio il buon cuore delle persone, ma i loro pensieri e le loro convinzioni: come sottolineò il The Time all’epoca, “gli eroi nella fotografia del carro armato sono due: il personaggio sconosciuto che rischiò la sua vita piazzandosi davanti al bestione cingolato e il pilota che si elevò alla opposizione morale rifiutandosi di falciare il suo compatriota”.
Il bene esiste in tutti.
Certo è difficile riuscire a far emergere dall’interno di ognuno, anche dal peggior individuo, un sottile velo di bontà… Ma non è un’accettabile giustificazione per compiere atti violenti.
Non si sa cosa sia successo a quel rivoltoso. Varie ipotesi sono state sostenute nel corso degli anni: c’è chi dice che egli sia stato giustiziato e chi invece sostiene che egli sia ancora vivo e che abiti in Cina. In qualsiasi modo, sia egli il simbolo di ogni rivolta e di ogni contestazione, dove le armi e il fuoco non possano avere presa davanti a una candida e inerme camicia bianca.
Innalzate le proteste e i valori, e fate sì che nelle piazze possano udire le vostre voci, cosicché nessuno possa mai battere il pugno.
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Alcuni avvenimenti hanno la capacità di scandire il corso degli eventi e segnare il passaggio da una fase storica a un’altra. Sabato abbiamo indiscutibilmente assistito alla fine di un’epoca non solamente politica. La fine del quarto governo Berlusconi sancisce anche il termine del controllo diretto dell’uomo Silvio Berlusconi sulla vita del paese. Faber est suae quisque fortunae dicevano i latini. Questa formula è quantomai vera per l’uomo di Arcore, asceso al potere dopo una vita da imprenditore a tinte fosche e burattinaio della scena istituzionale italiana, cavalcata con metodi e finalità del tutto personali. Non è un caso se le scene di giubilo per le strade somigliavano a quelle classiche per le vittorie calcistiche. Erano lo sfogo della gioia di una parte della nazione che per anni ha subito una politica sempre più lontana non solo dal bene collettivo ma dalle logiche democratiche. Alcuni analisti concedono l’onore delle armi a Berlusconi, elogiando la sua capacità di cambiare la terminologia e la prassi istituzionale e di resistere a gravi e numerosi scossoni politici e non. Occorrerebbe, tuttavia, riflettere sul costo sociale ed economico di tale resistenza per l’Italia. Vero è che moltissime altre figure politiche avrebbero mollato la presa ben prima, travolti dall’indignazione popolare e dal fallimento dei loro provvedimenti, ma da quando ciò rappresenta una vergogna? In realtà non è l’orgoglio ad aver spinto Berlusconi a resistere all’assedio, ma lo stesso motivo che lo ha indotto all’impegno politico: la difesa dei suoi interessi personali, quasi sempre antitetici a quelli del paese. Senza le numerose leggi ad personam, il destino dell’ex Presidente del Consiglio sarebbe stato ben diverso. La volontà, però, nulla può senza condizioni favorevoli. E infatti egli ha sempre contato sul consenso di una parte consistente del paese, sotto il comprensibile sguardo attonito del resto del mondo, come ben sa qualunque italiano che abbia risieduto all’estero negli ultimi diciassette anni. A dire il vero, molti sono i fattori che hanno giocato a favore di Berlusconi. Nel 1994 approfittò del crollo dei vecchi partiti in seguito a Tangentopoli, inserendosi nel quadro di rinnovamento delle forze politiche innescato dal crollo del muro di Berlino. Nel 2001 riuscì a ripetere il miracolo sfruttando la limitata durata del suo precedente governo e ripresentandosi come l’incarnazione del rinnovamento dopo l’esperienza al potere del centrosinistra. Il resto è storia recente, con la vittoria del 2008 su un centrosinistra suicida.
Tanti e vari sono gli episodi spiacevoli che hanno caratterizzato ogni permanenza del cavaliere a Palazzo Chigi. Eppure nessuno ha fatto scattare un moto di indignazione sufficiente a disarcionarlo. Sarebbe stato bello se quanto accaduto ieri fosse seguito a un’immensa e prolungata manifestazione di dissenso della nazione, in un differente contesto internazionale. Invece, sappiamo tutti bene come siano andate le cose. Nonostante le tante iniziative delle forze sociali e intellettuali del paese, incurante degli scandali sessuali e giudiziari di cui Berlusconi si è reso protagonista, il suo governo è caduto sulle questioni economiche, per mano dei mercati internazionali e dell’Unione Europea, in particolare Francia e Germania. Il futuro prossimo venturo si chiama Mario Monti. Molto si è già detto del neo-senatore a vita. Accanto alle lodi per lo spessore e il prestigio internazionale, la sua familiarità con il sistema finanziario responsabile della crisi economica che sta sconvolgendo il mondo contribuisce al curriculum di colui che è chiamato a trainare l’Italia fuori dall’impasse. È vero che Monti non è estraneo a quelli che sempre più spesso vengono definiti “poteri forti” della finanza e delle lobby economiche. È vero che la sua nomina è stata fortemente sponsorizzata (per non dire imposta) da ambienti extra-nazionali. È vero che dobbiamo porci un interrogativo sulla sovranità politica del popolo in rapporto al contesto economico globalizzato. Il punto è che, molto banalmente, non abbiamo alternative. La nomina di Monti a Presidente del Consiglio è la condizione necessaria affinché il nostro paese non sia immediatamente isolato a livello internazionale sul piano politico (più di quanto non lo sia già) e su quello economico-finanziario. Tradotto, senza Monti non avremmo più una lira da nessuno. Nel perverso meccanismo finanziario che governa il mondo, la conseguenza immediata sarebbe il fallimento dell’Italia. Tutto ciò genera scontento. È giusto non arrendersi davanti alla sottomissione della politica davanti alla finanza. Non altrettanto gridare all’apocalisse, accusando di cecità chi festeggia la fine dell’era Berlusconi, di fronte ai mesi di sacrifici e di scelte difficili che attendono il paese. Non tutto è perduto. Possiamo scegliere se proverbialmente piangere sul latte versato, imprecando i numi avversi, o meditare sugli errori fatti.
L’efficacia del governo Monti nell’arrestare la caduta libera del nostro paese dipenderà dall’autorità politica di cui godrà in Parlamento. È per questo che senza il via libera del PdL sarebbe stato impossibile procedere alla nomina. I tentativi di Berlusconi di fare la voce grossa e imporre le proprie condizioni si sono immediatamente scontrati con l’oggettiva situazione di impotenza derivante dalla sua sconfitta personale. La corazzata politica dell’ex maggioranza si è finalmente rivelata per quella che era, ossia un’accozzaglia eterogenea di satelliti che ruotavano attorno all’unico corpo celeste per godere della luce riflessa. Ora che l’astro si è spento, il partito è allo sfascio. Sarà interessante verificare le mosse politiche di tutti coloro che, pur non partecipando all’ammutinamento dei malpancisti, hanno passivamente subito il naufragio senza neanche saltare giù insieme alla Carlucci.
Da tempo l’espressione “aria di fine impero” era usata per descrivere l’atmosfera politica italiana. A cadere è stato l’imperatore. Il berlusconismo è ancora vivo e vegeto e rappresenta, forse, il principale pericolo per il futuro del nostro paese. Historia magistra vitae, dicevano gli stessi latini di prima. Speriamo.
Ieri era uno degli hashtag -in breve, le parole chiave degli argomenti “caldi” del momento- più seguiti su Twitter è stato #maipiù, insieme a tanti altri che hanno costellato tutta la lunga giornata di sabato. Dopo diciassette anni e spiccioli, Silvio Berlusconi si è dimesso.
Durante tutta l’infinita serata di ieri, in attesa della dichiarazione che ponesse fine a tutto, si sono susseguite manifestazioni di giubilo in tutte le piazze antistanti gli edifici della nostra Repubblica. Bottiglie di spumante, hallelujah, una generale aria di “liberazione”, un lungo sospiro di sollievo tirato dalle tantissime persone che dopo diciassette anni non ne potevano veramente più.
Non ci sono riuscite le opposizioni (che, a dire il vero, hanno spesso fatto i suoi comodi), non ci sono riuscite le megamanifestazioni popolari, non c’è riuscito Fini con la sua “scissione”, non c’è riuscita una maggioranza risicata salvata dal più squallido dei mercati del trasformismo politico. Sono servite il crollo dell’economia mondiale ed europea, la mancanza di fiducia del mondo della finanza nei confronti del nostro Paese, le “imposizioni” della Comunità Europea. E dopo l’ennesima settimana di stallo, Silvio ha finalmente (e giustamente) rassegnato queste benedette dimissioni.
Un’epoca della Repubblica italiana (una brutta epoca, permettetemi) si chiude così; dopo nipoti di Mubarak, bunga bunga, corna agli incontri istituzionali, “culone inchiavabili”, smentite e controsmentite, cacciate dei personaggi scomodi dalle TV nazionali, alla fine tutto questo teatrino si è infranto contro la macchina della crisi e del denaro. Ci rimane un Paese in enorme difficoltà, un cumulo di macerie su cui dover ricostruire il nostro futuro, la nostra reputazione, la nostra credibilità internazionale. Adesso toccherà al tecnico Mario Monti sistemare (o almeno provarci) la situazione, così è stato deciso dalle forze politiche. Un governo auspicabilmente “tecnico” che vada a mettere in atto le misure che possano tirarci fuori da questa situazione di enorme difficoltà. Osserveremo con attenzione il suo operato. Monti è un uomo delle banche, è un finanziere, e la paura che si sia finiti dalla padella alla brace è tanta. Certo, fare peggio di quanto s’è fatto finora è difficile, ma diciassette anni di Silvio Berlusconi ci hanno insegnato che al peggio, da noi, non c’è mai fine. Stiamo attenti!
L’opposizione reagisce gioiosa, Bersani arriva addirittura a dire che è merito suo e del PD se Berlusconi si è dimesso, continuando in quella strada “saltocarrista” intrapresa ai tempi del referendum e delle elezioni amministrative scorse. Qualcuno dovrebbe spiegargli che è anche grazie al centro-sinistra, a quella famosa legge sul conflitto di interessi (di cui nessuno parla più, lasciata a marcire in un passato lontano) che avrebbe potuto evitare tutto questo, se Silvio è rimasto al governo tanto a lungo. Stendiamo un velo pietoso.
Mi hanno colpito anche le reazioni degli irriducibili pessimisti di Sinistra, che non hanno perso tempo a urlare che ora sarà peggio di prima, che Monti è un guaio, che bisognava ricorrere alle elezioni subito (come dice anche la Lega); continuo a chiedermi quanto possano giovare, in un momento simile, due mesi di campagna elettorale con i nostri politici, con la nostra legge elettorale ecc ecc. Non abbiamo bisogno di altra immobilità. Per una volta, pessimisti di Sinistra, provate a rilassarvi e a gioire della fine di un’epoca buia, di un taglio con il passato.
L’altra categoria che in questi giorni invece sembra assolutamente scomparsa sono i militanti del PDL, i Berluscones. Ragazzi, parliamoci chiaro, il signor Silvio Berlusconi non è stato al governo per diciassette anni per magia, ma perché qualcuno (la maggioranza degli italiani) l’ha votato. Oggi i berlusconiani sembrano scomparsi, approfittano della caduta dell’Imperatore Maximo per rifarsi una reputazione, un “chi io? Mai votato Silvio”. Ad esempio mi ha fatto specie assistere a miei amici e amiche, un tempo berlusconiani convinti, festeggiare sui social network e nelle piazze la caduta di questo governo. Gente che sin dalla prima ora ha votato questo baraccone che si è trascinato (e ci ha trascinato nel baratro) in questi diciassette anni, oggi fa finta di niente, fischietta sul cadavere del suo stesso Imperatore. Questo mi spinge a riflettere molto sulla cultura dell’italiano medio (senza generalizzare troppo), ma forse sono stato sfortunato io ad avere tanti ex-berlusconiani convinti intorno. Chi lo sa. Fatto sta che io e tanti altri non vogliamo che si mischino a noi, oggi. Puntualizziamolo.
E adesso? Adesso si vedrà, abbiamo poco tempo come Paese per sistemare le cose, abbiamo poco tempo per rimboccarci le maniche e uscire da questa stramaledetta “crisi”, una parola che sentiamo ogni giorno, e che sinceramente non vorremmo ascoltare più.
Resta da dimenticare il più in fretta possibile (anche se le cicatrici le porteremo per sempre) quest’uomo che inseguendo i suoi interessi ha fatto così poco per l’Italia e così tanto per sé stesso. Mi auguro che riusciremo a parlarne sempre meno (o a non parlarne proprio) in futuro.
Una vignetta dell’Independent di qualche giorno fa ben descrive la situazione italiana in questo momento. Le redini del paese sono nelle mani di una persona che se ne disinteressa totalmente. L’ha sempre fatto, a dire il vero, ma in questo momento è palese che il suo unico cruccio è quello di divincolarsi dalla morsa in cui si è stretto da solo. Ciò nonostante, il nostro Nerone gode ancora della fiducia di molti pretoriani incuranti di gettare al vento quei pochi scampoli di dignità che fossero loro eventualmente rimasti dopo le ignominie di cui si sono resi protagonisti pur di difendere il loro scranno nelle aule che contano. Magari sganasciandosi dalla risate al grido “Forza Gnocca”, in pieno spirito pre-adolescenziale, molto più che istituzionale. Considerata anche la situazione internazionale, l’aria che si respira porta con sé l’odore della pioggia imminente, che promette di rivelarsi un diluvio.
Per questa ragione, siamo costretti ad occuparci dell’opposizione. Infatti, la cosa di cui l’Italia avrebbe più bisogno è un’alternativa credibile e seria alla follia autodistruttiva, in grado di costringere politicamente il buffone al governo (definizione del Sunday Times) a farsi da parte insieme al resto del suo circo di animali, trasformisti e ballerine. È impietoso, oltre che inutile, sottolineare come di una tale entità si senta disperatamente la mancanza. Delle vicissitudini estive del Partito Democratico ci eravamo già occupati. Purtroppo dobbiamo tornarci. Lo strabiliante (oppure no) esito della raccolta firme per il referendum abrogativo del porcellum suona come una sorta di schiaffo nei confronti di un partito che pretende di incarnare l’alternativa a Berlusconi & Co. ma che balbetta quando c’è da sottoscrivere e appoggiare una causa sposata da 1.210.466 cittadini, senza contare tutti i potenziali SÌ che il quesito potrebbe ricevere alle urne. Potrebbe, non potrà, poiché l’ombra della forzatura antidemocratica si staglia sulla prospettiva del voto referendario. C’è da augurarsi che nessuno dei luminari politici del PD proponga un negoziato con la maggioranza in materia di legge elettorale, mettendosi (nuovamente) di traverso sulla strada del referendum e aprendo la via a una seconda degenerazione democratica a pochi mesi dalle elezioni, degna erede della legge Calderoli. In questo senso, Enrico Letta non ha mancato di sparare un colpo, auspicando una modifica della legge elettorale in Parlamento. L’intellighenzia del PD, evidentemente, non ha compreso a fondo il modus operandi dell’attuale maggioranza, nonostante le numerose dimostrazioni offerte. Inutile sottolineare come i dissidi interni, questa volta dovuti alla faccenda referendaria, siano sfociati nell’ennesima richiesta di dimissioni del segretario.
Al di là delle continue diatribe intestine, che pure contribuiscono al mantenimento del caos, è l’inerzia politica il principale ostacolo del partito. Molti osservatori hanno sottolineato l’analogia dell’attuale fase storico-politica con l’epoca di Tangentopoli. Allora la “gioiosa macchina da guerra” del centrosinistra si preparava a far man bassa di voti alle elezioni, salvo subire una bruciante sconfitta ad opera dell'”uomo nuovo” di Arcore. Per quanto oggi la situazione sia diversa, il centrosinistra si trova nuovamente con la palla al piede di fronte a una porta sguarnita. I sondaggi mostrano un discreto vantaggio nei confronti del centrodestra, con il Terzo Polo che, al momento, non sembra in grado di spostare in modo decisivo gli equilibri. Il 45% di indecisi dovrebbe far riflettere, a questo proposito. C’è un enorme bacino di elettori disgustati dalla politica allo stesso tempo nulla e imbarazzante della compagine governativa, ma che non subiscono il fascino di un’alternativa indecisa che stenta a proporre un programma di governo. In fondo, le intenzioni di voto per il PD e il PdL non differiscono drammaticamente. Evidentemente gli elettori di Silvio Berlusconi sono restii ad abbandonare il loro punto di riferimento, incuranti dello scempio perpetrato dal gran visir. D’altra parte, il PD non appare in grado di strappare consensi approfittando del naufragio del transatlantico del centrodestra.
Eppure i numerosi segnali che la parte civile della nazione invia alla politica da un anno a questa parte sono eloquenti. Il modello sperimentale del centrosinistra che ha trionfato alle elezioni amministrative di primavera è stato frettolosamente accantonato per far posto alle innumerevoli e confuse proposte di grande ammucchiata con i centristi, vicari della Chiesa in Parlamento, che peraltro nicchiano. Anche volendo, pericolosamente, dare per scontata una vittoria alle prossime elezioni politiche, gli errori di un passato non troppo lontano, con coalizioni troppo eterogenee, dovrebbero servire da monito. Senza una decisa svolta di metodo e, inevitabilmente, di persone, cosa succederebbe di fronte a temi come i diritti civili o la laicità dello stato? Come si può chiedere ai cittadini la fiducia per governare un paese stanco di Berlusconi accanto a figure che a Berlusconi offrono un appoggio per le sue porcherie, ultima fra tutte la legge bavaglio?
Nella tragicità della situazione italiana, la prospettiva di una maggioranza che non inneggi ai genitali femminili e non usi il dito medio per rilasciare dichiarazioni politiche rappresenterebbe già un significativo passo avanti. Tuttavia, accontentarsi di un panorama del genere significherebbe rassegnarsi a un’involuzione sociale e morale dell’intero paese, non senza conseguenze anche da un punto di vista economico per le tasche dei cittadini. La nostra storia recente determina l’urgenza di un cambiamento di paradigma politico, non solo di sigle al potere. Visto il grado crescente di partecipazione “dal basso” alla vita politica dell’Italia, l’attuale classe politica è tenuta a prendere atto del proprio fallimento e a lasciare spazio a nuovi volti e, soprattutto, nuovi metodi. Il centrosinistra, in particolare, non ha più scuse. Non può sbagliare un altro gol.
La serietà della crisi economica e le sue ripercussioni sulla disastrata situazione italiana stanno ulteriormente aggravando la caduta di consensi per la maggioranza. Con un governo in debito d’ossigeno e aggrappato a equilibrismi politici estemporanei, un’opposizione normale di un qualsiasi paese democratico avrebbe buon gioco a incamerare i favori della popolazione, stanca e delusa dall’incapacità e dalla miopia della classe dirigente. Un’opposizione normale, appunto. Di una tale entità in Italia mancano le tracce. Tralasciando il ruolo dei due partiti-spalla, IdV e SEL, la principale forza politica del centro-sinistra, il Partito Democratico, appare preda di sé stessa e delle sue congenite tendenze masochistiche. L’apertura di un’indagine a carico dell’ex-ministro Scajola (ci chiediamo se di questo, almeno, sia consapevole) è quasi oscurata dall’altrettanto incresciosa vicenda legata a colui che fino a pochi giorni fa era l’uomo forte del PD lombardo e il braccio destro del segretario del PD Bersani, Filippo Penati. I dettagli che stanno emergendo, e che minacciano di scatenare un precipitoso effetto domino all’interno del partito, disegnano un sistema di malaffare che sembra uscito dalle cronache giudiziarie dei primi anni novanta. Al livello politico, quello che lascia interdetti è l’assoluta mancanza di trasparenza e di chiarezza da parte dell’establishment del partito. Le stesse persone che, giustamente, mostravano indignazione e cavalcavano (non troppo, a dire il vero) le malefatte del premier, adesso balbettano frasi di circostanza di fronte ai microfoni. Una forza politica che intenda anche solo fingere di essere affidabile non può in alcun modo permettersi il lusso di far trascorrere dei giorni prima che il segretario prenda una posizione netta nei confronti del ricorso alla prescrizione da parte di un papavero del gruppo dirigente. Se è vero che la rinuncia alla prescrizione è una scelta personale, il pronunciamento di un partito nei riguardi di un principio alla base di una sana etica pubblica non è un optional. Tanto più in un paese come l’Italia, in cui, purtroppo, il rispetto della legge si configura ogni giorno di più come una virtù anziché come un requisito di base. Il susseguirsi di cinquant’anni di inciuci all’ombra della balena bianca e del ventennio berlusconiano, inframezzati dalla debitamente accantonata parentesi di Tangentopoli, pesano come un macigno sulla credibilità di chiunque si presenti sulla scena politica. Nell’attesa di nuovi sviluppi che illuminino più chiaramente la faccenda, le colpe di Penati non possono ricadere su tutto il partito, ma la responsabilità politica di chi lo ha spinto in alto nella gerarchia di potere interna non può essere accantonata. Anche quando Bersani non fosse a conoscenza di quanto succedeva, la folgorante carriera di questo dirigente evidenzia una totale mancanza di meccanismi che garantiscano la trasparenza e l’onestà di chi, in prospettiva, si candida ad occupare ruoli di potere nelle istituzioni. Con una sana dose di cinismo politico, il partito avrebbe comunque potuto, se non approfittare della situazione, quantomeno rigirare la frittata, mostrandosi compatto su posizioni di assoluto rigore. Prendiamo atto delle rapide dimissioni di Penati dai suoi incarichi istituzionali e della sua decisione di rinunciare alla prescrizione (almeno stando alle dichiarazioni), tardivamente auspicata dalla maggior parte dei pezzi grossi del PD. Tuttavia l’indecisione e il ritardo dimostrati nel rigettare qualunque sospetto di complicità non contribuiscono di certo a rafforzare la fiducia da parte dell’opinione pubblica.
Il caso Penati non è l’unica spina nel fianco. La cronica capacità del PD di non intercettare la volontà e gli umori della sua stessa base elettorale contribuisce ad aggravare lo stato confusionale, come dimostra un altro tema all’ordine del giorno, squisitamente politico: la raccolta firme per il referendum abrogativo del porcellum, la vergognosa legge elettorale in vigore, scritta da Calderoli e da lui stesso chiamata “porcata”. Tutto il centro-sinistra, PD compreso, esprime da tempo l’intenzione di abrogarla e procedere al varo di una nuova legge che garantisca almeno un minimo di democraticità alle prossime elezioni. Non appena, però, un’iniziativa di alcuni “prodiani”(con Arturo Parisi in testa) apre la prospettiva di promuovere un referendum per cancellare l’assurdo meccanismo di nomina dei parlamentari e tornare temporaneamente al mattarellum, nella speranza che il prossimo Parlamento partorisca un provvedimento migliore, ecco che ciò che era logico diventa tutt’altro che scontato. In assenza, come al solito, di una presa di posizione netta del partito (che non può che essere favorevole), vari nomi importanti dell’establishment del PD aggiungono il loro nome alla raccolta firme in maniera del tutto soggettiva, ma non per questo meno “pesante”, seguendo l’esempio del fondatore, Romano Prodi. Di fronte a un fatto compiuto, anziché ratificare, seppur tardivamente, la decisione apparentemente maggioritaria, il segretario sfodera un capolavoro politico racchiuso nella seguente dichiarazione: “Io non firmo. […] Appoggio l’iniziativa, ma non la sottoscrivo perché quella elettorale è una legge che deve passare dal Parlamento”. Dietro la scelta di Bersani non può non esserci una corrente del partito che evidentemente preferisce non sporcarsi le mani facendo opposizione sul campo, convinta di poter agire a livelli più “nobili”, e che considera più proficuo il corteggiamento verso altre forze politiche che la sintonia con il proprio elettorato. Inutile far notare, infatti, come questa decisione sia perfettamente il contrario di ciò che potrebbe avvicinare il PD all’enorme bacino potenziale di elettori che sarebbero pronti a concedere il proprio voto, ma che, al contrario dei dirigenti democratici, hanno le idee chiarissime.
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L’impero di Berlusconi sta crollando sulle sue stesse deboli fondamenta fatte di escort e festini, bunga bunga e starlette che fanno politica, e ci si comincia lecitamente a chiedere cosa succederà dopo.
Una domanda che ci si pone spesso di questi tempi riguarda proprio la possibile alternativa a Berlusconi e al berlusconismo. L’Italia ha bisogno di un cambiamento radicale, storico, di una nuova era in cui la politica possa ritornare vicina al cittadino, vicina al popolo, che attualmente annaspa disorientato nella torbida realtà di un Governo che si preoccupa soprattutto di salvare il suo Premier, padre-padrone di un partito che propone e dice soltanto quello che vuole Lui.
Il problema della Sinistra è che non propone un’alternativa. È una frase populista quanto volete, ma è assolutamente identificativa dello status in cui versa l’Opposizione. Il votante di Sinistra si trova totalmente disorientato di fronte alla “debolezza” sulla carta del maggior partito di Opposizione, quel PD che ha come leader Bersani che tanto leader non sembra. E così nelle scorse settimane abbiamo assistito a paventate assurde alleanze pur di mandare via l’Imperatore Maximo, alle proposte di un’ampia coalizione per battere il Premier, fino allo sfogo d’orgoglio di Bersani in risposta alla lettera di Berlusconi sul Corriere. Insomma, un tira e molla infantile: prima si propongono folli alleanze persino con la Lega (e già qui…), poi si fa un passo indietro, poi si cerca il governo tecnico con Tremonti premier (e pure qui…), poi risalta fuori lo scandalo Bunga Bunga e si ricomincia la guerra. Infine il Partito dell’Amore decide di tendere la mano all’Opposizione, in un disperato tentativo di collaborazione, e Bersani in un moto d’orgoglio si rifiuta fermamente chiudendo l’affaire con un lapidario “troppo tardi”.
Troppo tardi? L’elettore di centro-Sinistra non può che trovarsi ulteriormente disorientato dalle parole del suo ipotetico leader. “Troppo tardi” significa che in un altro momento, in un tempo giusto, questa collaborazione si sarebbe potuta fare. Ma che diavolo di discorso di Opposizione è questo? Come è possibile che non si riesca a sentire una presa di posizione decisa? Ancora oggi siamo costretti a subire questa manfrina del tira e molla, con un PD che si crogiola nel suo essere Opposizione, quasi avesse paura di passare al Governo. Paura o convenienza. Perché il sospetto che neanche loro sappiano cosa fare comincia a insinuarsi concreto nelle menti dell’elettorato di centro-sinistra. Il che dimostra un’idea del Partito che rasenta la debolezza, che non dà forza al messaggio lanciato.
Si dice sempre che Berlusconi sia un grande comunicatore, che sappia come affascinare le masse di pecoroni senza opinione, che sappia come portarli dalla sua parte (ancora oggi si sente gente difendere a spada tratta TUTTO il suo operato). Il punto secondo me è un altro: non è che Berlusconi sia bravo a comunicare, è che dall’altro lato non c’è nessuno che lo sappia fare in maniera decente. Anzi, diciamola tutta, il più grosso difetto della Sinistra è proprio questo, arroccarsi su un idealismo antico, fatto di valori assolutamente condivisibili, ma che non tiene conto della situazione attuale dell’elettorato nel nostro Paese. Ciò che dovrebbe imparare l’Opposizione è che in una battaglia elettorale tutto conta per riuscire a racimolare i voti della gente. Bisogna saperla convincere, bisogna riuscire a entrare nella realtà di tutte le classi sociali, capirne i bisogni, presentare un prodotto (mi si perdoni il termine commerciale) invitante, fresco, che vada incontro alle esigenze della maggior parte delle persone, popolicchio compreso. Non funziona più la strategia di puntare soltanto sulla parte intellettuale e informata del Paese, c’è una subrealtà di gente a cui non frega un cavolo della Costituzione, delle inchieste, e di tutto il resto. Un popolicchio che vuole meno tasse, vuol spendere meno, vuole il lavoro, tutto qua. Non ha più senso, nel 2011, fare comizi come se fossimo negli anni ’70. Mi rendo conto che queste affermazioni possa risultare un po’ forti, ma bisogna stare al passo con i tempi, è ora di metterselo bene in testa.
Una giusta ricetta, un buon leader che rappresenti una novità, un programma che sia condivisibile da quante più persone possibili (qualcuno è riuscito a capire il programma del PD?), che vada dritto al punto, che non si arrocchi su posizioni sempre uguali “via Berlusconi, via Berlusconi, via Berlusconi.”
È un momento storico triste questo, l’Italia sta vivendo ancora una crisi economica da cui si fa fatica a venire fuori, la gente è stanca di fare la fame e vedere che nel palazzo nulla cambia e sono tutti concentrati a parlare di Silvio e del suo Bunga-Bunga. Basta. Berlusconi cadrà, è soltanto una questione di tempo, e una Sinistra che vuole proporre un’alternativa deve cominciare sin da subito a preparare un programma, a proporre un’alternativa che parli di cose concrete, cose che interessano alla gente. Se vogliamo questo cambiamento, è il momento giusto per cominciare a prepararlo.
Non vogliamo più vedere questa mentalità sconfitta in partenza, con una sinistra divisa tra chi urla “via Berlusconi” (IdV ad esempio) e una che lo dice sotto voce (il PD, per l’appunto). Non se ne può più di sentire da D’Alema proposte di alleanza con il Terzo Polo pur di mandare via l’Imperatore Maximo. Non se ne può più.
Quello che mancano sono i valori, i principi, e dire “Uniamoci con chicchessia pur di far cadere Berlusconi”, per quanto intento nobile, non è un valore. Il segreto dei successi di partiti come IDV e Lega è proprio questo: sono in politica per attuare i loro valori, ovvero la legalità per l’Idv, il federalismo per la Lega. Per questo non si sottomettono a soprusi e ricatti da un lato, né a moine, accordi e compromessi dall’altro: perché sono altre le cose che li muovono. Con questo non si vuole dire che siano due partiti perfetti guidati da leader illuminati – lungi da noi -, si vuole solo spiegare il motivo del loro consenso popolare. È il motivo per cui la sinistra non riesce a instaurare un rapporto stabile con Di Pietro: perché non lo capisce.
La Sinistra si riprenda la sua identità, diventi moderna, si rinnovi e si presenti con un programma di alternativa decente, senza allusioni a folli alleanze che nulla portano.
E chissà, un giorno forse riusciranno a farsi perdonare la mancata legge sul conflitto di interessi, la più grossa puttanata fatta in Italia negli ultimi vent’anni.
Avremmo potuto evitare un’epoca oscura. Ora si impegnino a riaccendere la luce della speranza.
Ne parlavo proprio qualche giorno fa qui su Camminando Scalzi: la strategia – tutta italiana – adottata di aspettare che le acque si calmino (magari confondendo un po’ le idee e usando i media come neanche il Joker di Frank Miller) distribuendo bugie, false verità, ma soprattutto – unico obiettivo da raggiungere – convincendo le persone. Se una cosa la ripeti in TV una, due, dieci, cento volte, quella cosa, per quanto possa essere falsa, comincerà ad avere una sua autonomia, una sua identità. Inizierà a comparire il dubbio “e se fosse così? Se fosse davvero perseguitato dai giudici?”. Ovviamente mi riferisco a una certa fetta di pubblico, conscio (e speranzoso) che molti di voi la TV non la accendano neanche più viste le condizioni in cui versa oggi. Mi riferisco a quella fetta di pubblico che idolatra Maria De Filippi, che passa i pomeriggi a vedere Uomini e Donne con i vecchi che si corteggiano, in uno squallido spettacolo ridicolo e patetico, che fugge dalla realtà quotidiana, dalla crisi e da tutto il resto… Fetta di pubblico (elettorato-pubblico) facilmente influenzabile, tanto cattolica-praticante sotto certi punti di vista quanto omertosa-senzaopinione dall’altra. Insomma: con una mano prego, con l’altra nascondo i miei (e gli altrui) peccati nelle tasche sporche, sperando vengano dimenticati. Vi ricorda qualcuno?
L’analogia è semplice, e spiega un concetto che ormai comincia a entrare nelle teste di tutti noi. Il nostro Imperatore Maximo B. rappresenta quella fetta di italiani a cui piacciono i culi, le tette, le raccomandazioni e la vittoria a tutti i costi. Perché lui è uno che ce l’ha fatta, e vogliono tutti diventare come lui. Ecco perché ha sempre ragione. Anche quando ci sono sospetti (e ben più che sospetti, spesso) che combini cose fuori dal normale, invece rimane tutto assolutamente normale, tutto statico. I cattivi giornali dell’Opposizione sbraitano inutilmente, i movimenti politici di opposizione cercano di aizzare le folle e sperare in una reazione; reazione che non arriva mai, perché siamo sempre incastrati in questo adorabile maledetto Paese dove un Premier è sospettato dell’organizzazione di festini osè, ma nessuno si indigna, nessuno dice niente. Sì ok, si sbraita, si fanno i post sui blog di protesta, si linkano le vignette anti-B. su Facebook, si fanno quattro proclami, ma chi lo dovrebbe prendere e mandare a casa sua (prima) e dai giudici (poi), non fa niente. Rimangono tutti lì in un limbo, ad aspettare che anche questa tempesta passi, quasi spaventati di fronte alla possibilità di dover prendere in mano la situazione. E poco importa che l’Imperatore Maximo non durerà per sempre. Per ora c’è, e speriamo che duri a lungo. Procrastinate at procrastination.
Ci stiamo ricascando ancora una volta. Passano i giorni, appaiono discutibili memorie difensive in cui TUTTO quello che è accaduto appare finto, falso, si smontano le costruzioni dei PM (cattivi PM! Subito una leggina punitiva per loro, dannati persecutori! Cattivi!), si cerca prima di tutto di fare un processo mediatico (ma non erano loro a dire che la Sinistra fa i processi mediatici?), si scagiona il Premier in tutte le sedi possibili e immaginabili (soprattutto le sue di sedi, tipo la Rai e Mediaset), si invita Ruby a fare la parte della santa da Signorini (e non si capisce chi sia più diabolico tra i due… Roba da pelle d’oca), perseguitata e aiutata dal Santo Imperatore Maximo. Un uomo buono, ma così buono che aiuta tante ragazze (possibilmente belle), che paga affitti, che dona soldi… Ma così, per bontà d’animo. Ma com’è che tra tante persone aiutate non si sente parlare mai di una vecchina rimasta senza un soldo, di un terremotato, di un disoccupato che ha tre figli da curare? Strano eh? Stranissimo.
Ma insomma, basta continuare a dire che è solo un semplice benefattore, a ripeterlo una, dieci, cento, mille volte. Prima o poi qualcuno ci crederà, e poi qualcun altro. E nel frattempo la faccenda sarà dimenticata, così come tutte le altre, a suon di Santanchè che urla nei programmi televisivi (e poi se ne va), di telefonate di B. (che come una adolescente chiama, urla, insulta, e poi attacca), e di tutti gli esponenti di centrodestra che difendono a spada tratta il Premier, anche sull’indifendibile affaire delle prostitute ad Arcore (ma guai a chiamarle prostitute eh! Si mina la dignità delle donne… Mica organizzando feste e lap dance, ma chiamandole prostitute, stiamo bene attenti…)
Chi di dovere, il Presidente della Repubblica, le altre forze politiche, ma anche i suoi alleati che conservano ancora un briciolo di dignità politica e non siano ridotti a ripetere le sue parole in eterno, faccia qualcosa. Quest’uomo è il peggior Premier che l’Italia potesse avere, perché rappresenta tutte le debolezze e tutti i difetti del Paese, li estremizza, e li trasforma in virtù.
Il popolo dei pecoroni, è così che ci devono vedere quelli dei “piani alti”. Il popolo, esattamente come duemila anni fa al tempo dei gladiatori, che vuole e si nutre di spettacolo, di sangue, di dettagli. Duemila anni fa attorno all’arena e agli spettacoli che lì si tenevano si decideva la popolarità di un imperatore.
11 milioni per lo spettacolo di Ivan martedì sera, roba che la Nazionale normalmente se la sogna; e poi gli innumerevoli spettacoli di approfondimento dedicati alla triste vicenda di Sarah, dei suoi account su Facebook e degli sms che mandava e via discorrendo.
E chi comanda, ovviamente, si adegua, visto che più cruento è il linciaggio e più favori incontra. Castrazione chimica per i pedofili, urla Calderoli, pistole ai tassisti risponde Salvini, bombe sui bombardieri fa eco La Russa (sempre scenico).
E un po’ si fa finta di dimenticare che la castrazione chimica, pur impedendo ai pedofili di avere erezioni, non gli impedisce di pensare come pedofili, nè tantomeno di agire come tali. I tassisti, avessero pistole e le usassero, sarebbero tacciati di violenza gratuita, al primo colpo sparato contro un cliente facinoroso. E vorrei vedere il bombardiere che mentre il terrorista imbraccia un bazooka contro un nostro mezzo blindato, decolla, raggiunge la quota stabilita, arma le bombe, le sgancia e salva i soldati in pericolo. E anche se le bombe fossero sugli elicotteri che proteggono dall’alto i mezzi blindati per le strade Irachene, vorrei capire di quali bombe sta parlando il ministro La Russa, visto che bombe in grado di identificare le mine piazzate lungo le strade non ne esistono.
Ci importa una beatissima, tra l’altro, che “gli altri le bombe ce le hanno”, visto che l’articolo 11, seppur applicato come ci pare e aggirato da sofismi letterari che evitano di dire “guerra” ma piuttosto “regole di ingaggio”, comunque sta lì a dire che l’Italia, la guerra, anche chiamata come preferiscono quelli dei piani alti, la ripudia.
Il PD riesce a spaccarsi anche in questa occasione: chi si ricorda di essere di sinistra e si oppone, chi se lo dimentica e avalla, c’è chi come Bersani mantiene salda la linea del PD seguita fin’ora: non si oppone e non avalla, semplicemente non si sbilancia.
E tutti i pecoroni a seguire, a destra e a manca, senza soluzione di continuità.
Il 5 dicembre dell’anno scorso si svolgeva la più grande manifestazione di contestazione mai organizzata partendo “dal basso”: dalla gente, da internet, nata su un gruppo Facebook, coinvolgendo centinaia di migliaia di persone: è stato il primo No Berlusconi Day, e ha segnato il battesimo e la nascita di quel Popolo Viola che tanto ha fatto parlare di sé in quest’ultimo anno. Uno strumento della gente per la gente, un gruppo a-partitico, un’organizzazione che manifesta il suo dissenso dietro nessun colore, se non il Viola, così nuovo e così rivoluzionario. In un anno tante cose sono cambiate, e molte altre invece sono esattamente com’erano, ecco perché il 2 Ottobre si terrà il secondo No Berlusconi Day (che, come sempre, seguiremo). Alla vigilia di questa nuova manifestazione, abbiamo intervistato il Popolo Viola. Approfondiamo insieme la conoscenza di questa ondata di novità e libertà nel panorama politico italiano.
Camminando Scalzi: Cominciamo dalle origini. A più di un anno di distanza, raccontateci come è nato il Popolo Viola.
Popolo Viola: Il popolo viola è nato per iniziativa di un blogger anonimo, San Precario, dopo la grande manifestazione per chiedere le dimissioni di Berlusconi: il nobday.
CS: Siamo alla vigilia del No Berlusconi-day 2, cosa è cambiato dalla prima, partecipatissima dimostrazione?
PV: Siamo passati da una fase puramente protestataria ad una più programmatica. Facciamo per il paese tre proposte: dimissioni di Berlusconi, una nuova legge sul conflitto di interessi che impedisca il riproporsi di altri Berlusconi e una nuova legge elettorale che ci garantisca elezioni democratiche. Ed enunciamo 5 tesi che ci forniscono delle parole d’ordine:
1. W LA COSTITUZIONE: La Costituzione della Repubblica Italiana è il faro che illumina l’azione pubblica e la vita democratica del Paese; essa va realizzata in ogni sua parte, va promossa tra le nuove generazioni e difesa da chi intenda manometterla per calcolo politico o interessi privati. La Costituzione non si tocca.
2. IL LAVORO NON È UNA MERCE: Il lavoro dignitoso torni ad essere primo fattore di progresso dell’intera società. I diritti di chi lavora sono indisponibili e non soggetti ad alcuna logica di scambio. Occorre superare il modello deteriore della precarietà del lavoro che in questi anni ha determinato lo smantellamento progressivo delle tutele sociali e contrattuali consegnando intere generazioni all’incertezza e all’abuso.
3. FUORI LA MAFIA DALLO STATO: L’illegalità dilaga nelle istituzioni e nella società, frena lo sviluppo del Paese e logora la qualità della vita dei cittadini. La corruzione, il malaffare e le connivenze tra settori politici e istituzionali e le mafie costituiscono la prima causa di degrado morale e materiale del Paese. Questi fenomeni vanno sconfitti anche attraverso una rigorosa selezione della classe politica ma anche sostenendo l’iniziativa di altri movimenti civili per un “Parlamento pulito”. Va promossa la cultura della legalità a partire dalle scuole e vanno valorizzate, sul piano culturale, quelle figure che hanno contribuito, spesso pagando con la propria vita, a liberare il Paese dalle mafie.
4. NO AL BAVAGLIO: La libera stampa e la Rete costituiscono l’antidoto migliore contro il virus dell’autoritarismo e delle derive eversive, dei fenomeni criminali e della corruzione. Esse sono un patrimonio irrinunciabile in una democrazia avanzata e la loro funzione culturale e di controllo sull’operato della classe politica va salvaguardata e incentivata. La libertà di espressione e il pluralismo dell’informazione, in un Paese oppresso dal monopolio televisivo, rappresentano uno strumento di garanzia degli assetti democratici.
5. PIU’ RICERCATORI MENO RICERCATI: Un Paese che non investe nella conoscenza e nella ricerca, nel tempo della globalizzazione, è condannato al nanismo culturale, scientifico e industriale. Occorre attivare maggiori investimenti per rafforzare il ruolo della scuola pubblica e dell’Università, per rilanciare il tessuto produttivo del Paese, per fronteggiare gli effetti della crisi e riqualificare il Welfare.
CS: La situazione politica in Italia è in stallo da parecchi anni, il Berlusconismo ha modificato pesantemente il modo di vivere nel nostro Paese. Ma secondo voi, è davvero tutta colpa del nostro Imperatore Maximo?
PV: Non sappiamo se è tutta colpa di Berlusconi, sappiamo che è lì da vent’anni.
CS: Quali sono gli obiettivi del Popolo Viola? Nasce come un “collettivo” di persone, un non-partito che rappresenti la gente che non vuole più questo governo. Ma adesso che state “crescendo”, cosa volete fare da grandi?
PV: Da grandi vogliamo fare quello che facevamo da piccoli, vogliamo essere un movimento di pressione per cambiare il Paese.
CS: Parliamo delle alternative. Come si pone il Popolo Viola nei confronti del nostro maggiore partito di Opposizione, quel Partito Democratico di Bersani sempre troppo addormentato (non dimentichiamo il “grave” ritardo nell’aderire al primo no b-day)?
PV: Il popolo viola si pone col Pd come si pone con gli altri partiti: colloquio nel pieno rispetto della propria autonomia programmatica
CS: E per quanto riguarda Di Pietro? Quali sono i vostri punti in comune?
PV: Con Di Pietro condividiamo la battaglia per la legalità, quella per cancellare il conflitto di interessi, per una nuova legge elettorale.
CS: Beppe Grillo è stato forse il primo a lanciare il modello politico “dal basso”, e le sue liste civiche hanno ottenuto anche discreti risultati. Quali sono i punti in comune e quelli di lontananza rispetto a questo sistema?
PV: Anche con Grillo condividiamo molti punti, primo tra tutti la battaglia per un Parlamento pulito.
CS: Il Popolo Viola è soltanto anti-Berlusconismo? Spesso sorge questo dubbio, chiariteci.
PV: Il popolo viola è innanzitutto un movimento che si batte per la difesa della Costituzione e questo molto spesso coincide con il contrasto alle pratiche berlusconiane.
Il Volantino del No B-Day 2
CS: Internet e la libertà di Informazione: il movimento è nato attraverso i social network, si è propagato attraverso i blog, è arrivato numerosissimo nelle piazze. L’Italia, noto paese di dinosauri, vi sembra pronto per tutto questo?
PV: A quanto pare sì, assolutamente pronta. La rete è il nuovo mezzo di comunicazione.
CS: Quali sono stati i momenti più difficili di questa grande avventura? Siete stati in qualche modo intralciati nei vostri progetti?
PV: No non siamo stati intralciati, c’è stata solo qualche incomprensione in alcuni momenti.
CS: Ci sono stati scontri, scambi di vedute, discussioni e/o scissioni all’interno del Popolo Viola?
PV: In un movimento plurale il confronto è fisiologico. “Scissioni” è una categoria che non è possibile ricondurre ad un movimento così fluido e trasversale.
CS: Avete contatti con i Viola di moltissime parti del mondo: voi che avete un contatto diretto, come è percepita la realtà italiana all’estero?
PV: I viola del mondo sono impegnati in questo momento ad organizzare il No-B-Day 2 perché gli italiani all’estero non vogliono più vergognarsi del loro paese e non vogliono più essere costretti ad andarsene per lavorare .
CS: Quali sono i vostri progetti per il futuro?
PV: Progetti per il futuro: cambiare il Paese.
Chiudiamo con un po’ di informazioni utili per partecipare al No Berlusconi Day 2:
A questo link potrete trovare il gruppo Facebook coordinato dal Popolo Viola, all’interno del quale potrete seguire gli aggiornamenti in tempo reale sui preparativi della manifestazione.
Qui invece tutte le informazioni su come raggiungere Roma per la manifestazione.
Quelle del titolo sono le parole che più sono rimaste impresse nella giornata di ieri, giornata in cui si è svolta l’attesissima “Festa Tricolore”, dove il presidente della Camera è intervenuto e ha finalmente detto la sua in maniera chiara e netta sulla crisi nella Maggioranza.le
Più di ottanta minuti di intervento in cui il leader di Futuro e Libertà ha sparato a zero e si è tolto parecchi sassolini dalla scarpa. Niente nuovo partito, ma a gran voce è stata chiesta una sorta di “rifondazione”. Il Pdl come lo conoscevamo sinora è morto, e se da quella stessa alleanza che ne aveva sancito la nascita provengono le più aspre critiche, è ovvio quanto la crisi sia concreta e palpabile.
È un fiume in piena il Compagno Fini. Bisogna andare avanti con questa maggioranza, ma c’è bisogno di un patto che porti alla stabilità, e punta a rialzare la posta in gioco. Non più leggi ad personam, non più provvedimenti che non sono nel programma di governo. La priorità va data all’economia. Tra le tante critiche, colpiscono quelle alla Lega (la quale, di tutta risposta, agita lo spauracchio delle elezioni anticipate), con una richiesta di un federalismo giusto che non vada a penalizzare il mezzogiorno. Critiche anche alla situazione delle quote latte e alla situazione della liberalizzazione delle municipalità e all’abolizione delle provincie. Ma non si fermano qui gli attacchi alla maggioranza (ormai Fini ne è fuori, anche se non concretamente). La Gelmini con i suoi provvedimenti sul capitolo scuola è un’altra vittima degli attacchi a distanza del presidente della Camera. Troppi precari, troppo precari. Non è mancata una difesa incondizionata della legalità, con un particolare appunto ai tagli operati ai danni delle forze di polizia.
Ma è sul cuore della folla che Fini fa più pressione, con due argomenti che gli valgono due vere e proprie standing ovation. Il primo è stato la critica apertissima alla recente visita di Gheddafi in Italia (di cui abbiamo parlato qui), dove Fini ha affermato che il leader libico è uno “che non può insegnare niente né sui diritti civili né sulla libertà della donna” (fonte | Repubblica.it). Una totale bocciatura della “genuflessione” del nostro capo del governo nei confronti di Gheddafi e del suo circo ambulante, argomento piaciuto molto alla piazza, che forse si aspettava questo tipo di “condanna” sin dal mattino. Dall’altro lato la pesante critica nei confronti degli ex-colonnelli di AN, oggi fedelissimi dell’Imperatore Maximo Berlusconi: Gasparri, Larussa e Matteoli. Sono “quei colonnelli o capitani, che hanno soltanto cambiato generale e magari sono pronti a cambiarlo di nuovo” (fonte | Repubblica.it). Anche qui applausi e ovazioni a scena aperta. Il Compagno Fini ne ha per tutti, dopo più di un mese di silenzio.
Non manca un accenno agli attacchi personali ricevuti durante questa estate (ne parliamo qui) dalla stampa schierata con il Premier (“il Giornale” in particolare) e dal resto della maggioranza. Insomma, la “cacciata” non è andata proprio giù al presidente della Camera.
Di tutta risposta le reazioni non si sono fatte attendere, con la Lega che alza la voce e insiste sulle dimissioni di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera è ormai l’unico esponente concreto di un’opposizione che riesce a dare in qualche maniera fastidio a Berlusconi e ai suoi seguaci. Una scheggia piantata in una mano che continua a fare male e a rendere difficoltosa la situazione politica della maggioranza di Governo. Difficile dire cosa accadrà da qui in avanti, certo è che la rottura è ormai più che evidente, e ci si chiede come mai non si sia arrivati ancora a una vera e propria rottura, con la conseguente caduta del governo e le elezioni anticipate. Le strategie politiche dei vari protagonisti di questa vicenda sono ancora in fase di rivelazione, e se dopo tanto silenzio Fini ha rincarato la dose, forse lo spauracchio delle elezioni non è una cosa temibile come sembrava all’inizio.
Peccato che l’Opposizione, quella vera, probabilmente non saprà approfittare di questa situazione di difficoltà per trarne vantaggio. Ma questa è un’altra storia.