Aucan – Black Rainbow

La sperimentazione contraddistingue questo trio bresciano, apprezzato molto all’estero e nella scena underground italiana.
La benedetta ottusità nostrana spesso allontana la creatività a tal punto di disprezzarla in nome del conformismo. Un paese in cui si preferisce esportare talenti lontano piuttosto di importarli. Il “sofisticato” metro di giudizio made in Italy di sopravalutare musicisti privi di originalità, rappresenta il disinteresse nello stimare artisti all’avanguardia. Per fortuna esistono dei paesi, dove musicisti di questa portata sono accolti con entusiasmo.

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Anna Karenina: si alza il sipario…

Quando venni a sapere dell’uscita di un nuovo film tratto dal romanzo di Lev Tolstoj “Anna Karenina”, uno dei miei libri preferiti, ne fui molto felice. D’altronde, dopo averne visto, da brava maniaca, diverse versioni (statunitense, russa, italiana) non potevo certo perdermi questo nuovo tentativo di portare sullo schermo uno dei romanzi più famosi della letteratura mondiale.

La storia narra di Anna Karenina, donna di spicco dell’alta società pietroburghese, sposata e con figlio, la cui vita viene stravolta dall’amore per un ufficiale, il conte Vronskij. Altre storie, poi, si intrecceranno attorno a questo filo conduttore narrativo.

Il regista Joe Wright apre il film in modo insolito: ci troviamo infatti sul palcoscenico di un teatro; vi sono fondali dipinti, cambi di scena che avvengono durante la recitazione degli attori, macchine da presa che ruotano in modo vorticoso. L’atmosfera è vivace, quasi da musical. Una vera festa per gli occhi in fatto di colori, costumi e luci (e infatti sono questi gli aspetti che hanno conquistato gli Oscar).

Ebbene, non sono contraria alle interpretazioni personali, tutt’altro, ma mi piace che siano motivate. Non capisco il perché di questo taglio teatrale, di questa finzione ostentata. Una scelta che non aggiunge nulla e che oltretutto non viene neanche portata fino in fondo: il film, infatti, perde pian piano il suo aspetto teatrale e diventa sempre più “realistico”, con visione di esterni e ambienti reali. Insomma, sembra quasi un esercizio di stile fine a sé stesso, un gioco che avrei visto più adatto all’ironia di un Oscar Wilde che a un Tolstoj.

A questo punto non resta che una seconda scialuppa di salvataggio: gli interpreti. Ma anche qui andiamo a fondo.Continua a leggere…

Sound City, regia di Dave Grohl

Dave Grohl è la Musica incarnata.
Non vi posso stare a spiegare perché, ci vorrebbe troppo tempo: o siete d’accordo o non lo siete. Su Camminando Scalzi abbiamo comunque una nutrita documentazione con cui potrete passare diverso tempo, se non capite perché apro una recensione di un film con questa frase a effetto.

In questi anni bui e tetri siamo infestati di una musica disgustosa. Inutilmente rumorosa, vuota, cretina, inconcludente, raffazzonata, e potrei continuare. Il mezzo si è svenduto completamente attraverso la massificazione, per cui è ormai possibile per qualsiasi stronzo che non ha la più pallida idea di cosa sia una scala musicale realizzare una canzone in digitale e metterla in vendita su iTunes, dove altra gente ignorante come e più di lui ne comprerà un sacco di copie rendendolo ricco e famoso.
Viviamo nei tempi della “guerra del rumore“, una cosa che dovrebbe far rabbrividire ogni amante della buona musica degno di questo nome. In breve: dove una volta si cercava sempre più la purezza del suono, la sua vera anima, oggigiorno nel disco prodotto già a cazzo di cane in partenza con i metodi di cui sopra, si aggiunge ulteriormente del “rumore” di fondo per aumentare il volume, con lo scopo di far “suonare più forte” il disco in modo che risalti sugli altri “dischi concorrenti” e potenzialmente farlo vendere di più. Se questo non è un segno evidente dell’involuzione in cui l’umanità si sta affossando, non so cosa possa esserlo.

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"Non siamo il vostro genere di persone" – il nuovo dei Garbage

GarbageLa consapevolezza della vecchiaia comincia a farsi sentire se per parlare dei Garbage mi tocca usare il passato remoto e delle formule come “vi ricordate di quel gruppo rock/pop elettronico a metà degli anni ’90?”
Saltiamo quindi i convenevoli: ve lo ricordate? Ma sì, il gruppo messo insieme da Butch Vig, famosissimo produttore di “Nevermind” dei Nirvana (e di “qualche altro” disco di successo). Ma sì, il gruppo di “Vow”, “Only happy when it rains”, “Stupid Girl”, “Push it”, “I think I’m paranoid” e la colonna sonora di uno dei James Bond, “The world is not enough”… Ancora niente? Ok… Il gruppo di Shirley Manson, quella sensualissima gnocca dai capelli baciati dal fuoco. Ah, ecco, improvvisamente ricordate, eh?

Che fine avevano fatto i Garbage? Dopo quattro album e un best of, uscito nel 2007, sono spariti nel nulla. Gruppo sempre umile e ben conscio dello star system, i Garbage non hanno mai fatto grandi dichiarazioni megalomani anzi, sono sempre rimasti con i piedi per terra, concentrati sul loro lavoro. Non si sa bene cosa arrestò la carriera di Vig, Manson, Steve Marker e Duke Erikson… Oggi, alla vigilia del loro nuovo disco, parlano di un malcontento e un’intolleranza verso le case discografiche, che raramente sono interessate a supportare i propri artisti se non arrivano al numero uno della classifica vendite. Fu quindi forse la frustrazione e il calo creativo che solitamente si porta dietro a far chiudere i battenti a uno dei più innovativi gruppi alternative dell’epoca moderna.

In questi cinque anni Butch Vig ha continuato il suo lavoro di produttore (sfornando tra gli altri il bellissimo ultimo disco dei Foo Fighters, “Wasting Light”, che abbiamo recensito). Shirley Manson ha invece provato la carriera di attrice facendo la terminator in Sarah Connor’s Chronicle, ha mantenuto il rapporto con i fan attraverso il suo account twitter e la sua pagina facebook e ha sbattuto invano la testa sul suo album solista, che è definitivamente naufragato quando, a febbraio di due anni fa, ha annunciato di essere tornata in studio con il resto dei Garbage.

“Not your kind of people” è uscito il 14 maggio confermando la stroncatura con le major, dato che è autoprodotto dai Garbage con la loro nuova etichetta, “Stunvolume”.
Il primo ascolto probabilmente non convincerà molto i fan dei vecchi successi dei Garbage, così come il primo singolo, “Blood for poppies”, un po’ anonimo; tuttavia è il classico disco che “cresce dentro” per poi tiranneggiare sugli ascolti della giornata. Vediamo insieme tutte le tracce.

Automatic Systematic Habit apre il disco con un’orgia di elettroniche e ritmiche dance che fanno letteralmente impallidire l’ascoltatore rock e forse incuriosire quello pop. Personalmente, appena fatta partire la traccia, mi son detto “peccato. Un disco da buttare.” Per fortuna prima di strapparmi le vesti ho proseguito con l’ascolto. A parte queste sonorità particolari, la canzone ha un ritornello accattivante e alla fin fine non risulterà così fastidiosa. Parla della meccanicità con cui la gente fa e promette le cose senza pensare e senza ovviamente mantenere la parola data.

Big Bright World rinfresca la memoria sulle classiche sonorità Garbage, ma non è ancora la canzone di volta. Il testo contiene alcuni versi di una poesia di Dylan Thomas.

È poi la volta di Blood for poppies, primo singolo del disco. Troppo allegro e nonsense per dare il giusto omaggio a ciò che i Garbage sono stati.

Ma finalmente arriva Control, la prima vera bella canzone del disco. Armonie melanconiche e la sensuale voce di Shirley lasciano subito spazio a chitarre pompate e a un assolo di armonica semplice ma imponente. Finalmente si capisce che i Garbage sono tornati. Davvero.

Not your kind of people, title track, si sollazza un po’ con un arpeggio effettato identico alla hit “The world is not enough”, ma fa presto capire che è ben più di una smanceria. Questa canzone è un inno: l’inno per i disadattati di tutto il mondo. La calda voce suadente di Shirley ondeggia su questa bellissima ballata. “Noi non siamo il vostro genere di persone, tutto è una bugia”, “Correre in giro cercando di adattarsi, voler essere amati… Non serve molto alla gente per buttarti giù”. E il disco decolla.

Infatti Felt propone un ritmo incalzante semplicemente irresistibile, con un testo che gioca molto sull’assonanza sfruttando la costruzione sintattica dei versi.

Shirley ha voluto far passare I hate love un po’ come la canzone simbolo del disco, con frase stampata su magliette eccetera. Dice di esserci molto affezionata per via del suo sarcasmo, ma personalmente la ritengo forse la più mediocre dell’album. Sarà per l’innesto di elettroniche che trovo rovini gli arpeggi di chitarra, che invece erano molto garbage. Sarà per il testo, sinceramente un po’ banalotto e adolescenziale. Non so, non mi ha convinto.

Con Sugar possiamo finalmente dolcificare il “Milk” del primo album. Queste due ballate sono infatti molto simili, con arpeggi dolci e riverberati, un giro di basso avvolgente e la voce bassa di Shirley ad ammantare il tutto. Ipnotizzante.

Battle in me è probabilmente il pezzo migliore del disco (e sarà il secondo singolo). Un giro di basso esaltante che pompa energia nelle vene, una batteria incalzante, Shirley incazzata e un riff semplice di chitarra che tiene insieme il tutto. La variazione di ritmo nel ritornello e l’uso di tacet rendono la canzone ascoltabile all’infinito.

Man on a wire non lascia evaporare l’adrenalina fatta secernere da Battle in me, anzi aumenta ancora di più il ritmo con un riff aggressivissimo e Butch Vig dietro la batteria che ha l’unica intenzione di spaccare tutto. Parla con vigore delle proprie debolezze e paure e della volontà necessaria per affrontarle.

Beloved freak è una ballatona dolcissima (che Shirley ha eletto come sua preferita dell’album) che serve da chillout per le due tracce precedenti. Come “Not your kind of people” si torna al tema del disadattamento di nerd e geek. “Niente che sia buono è mai stato gratis. A volte ci sentiamo così stanchi e deboli che perdiamo il cielo da sotto i nostri piedi. Le persone mentono e rubano, male interpretano come ti senti. Così dubitiamo e ci nascondiamo. Non sei da solo.”

The one è la prima delle quattro tracce bonus dell’edizione deluxe, che costa qualche euro in più. Torniamo ai ritmi aggressivi di “Battle in me” e “Man on a wire” per smaltire un po’ dello zucchero accumulato con “Beloved freak”.

What girls are made of è un pezzo un po’ deboluccio, in cui l’unica cosa che lo rende memorabile è la dissonanza testo/musica. Sembra quasi che le parole vadano per fatti loro, creando una vaga sensazione di disagio, che scompare con l’apertura ritmica del ritornello.

Bright tonight, perfetta canzone di “chiusura”, in senso lato, nonostante non sia l’ultima traccia dell’edizione deluxe. La chitarrina acustica cosparge un velo di stelle su cui poi la chitarra solista effettata e la voce bassa di Shirley compongono quella che sembra quasi una delicata ninna nanna.

È invece Show me a chiudere il disco, un pezzo davvero molto interessante. Il vibrato allungato della chitarra e la batteria bassa che sembra quasi un tamburo danno una sensazione come di vecchio west. Sembra quasi di vedere Shirley cantare in una vecchia locanda dalle porte di legno cigolanti. Sensazione che dura il tempo dell’intro, perché poi entra la chitarra elettrica e la batteria torna a battere i buoni vecchi 4/4. “Non è facile come sembra. Il mondo è grande, il mare è profondo. Non c’è spazio, non c’è tempo, ci siamo solo noi e ciò che ci lasciamo dietro. Mostrami chi sei, mostramelo adesso”.

GarbageI Garbage ci mostrano chi sono: una gran bella band. Intelligente, professionale, piena di curiosità e voglia di innovarsi. Tutte cose che mal si sposano con la moderna ottica delle major di fare più soldi possibile nel minor tempo possibile a scapito di tutto il resto.
“Not your kind of people” è un classico disco Garbage. Non un capolavoro che fa urlare di esaltazione, ma un bel disco solido, piacevole e riascoltabile, con delle ottime sonorità e delle buone idee, a metà strada tra “Version 2.0” e “Bleed like me”. Farà contenti i vecchi fan dei Garbage e sono sicuro che attirerà anche i giovani che non si fermano alla superficialità della musica che viene loro scodellata quotidianamente da case discografiche corrotte e impomatati marketing manager sorridenti.
Consiglio assolutamente l’acquisto della versione deluxe, che ha la copertina rossa.

I Garbage saranno i Italia l’11 luglio a Vigevano per il “10 giorni suonati Festival” e il 12 luglio a Roma per il “Fiesta Capannelle Roma Rock”.
Vi rimando al loro sito ufficiale e alla pagina facebook. Inoltre sul loro canale Youtube è possibile ascoltare alcuni brani di “Not your kind of people” e vedere i “mini-film” cioè brevi documentari con interviste e commenti sui pezzi del nuovo disco.

Italia: amarla o lasciarla?

“Italy: love it or leave it”. Un dilemma frequente. Un dubbio che tanti italiani hanno cercato risolvere e su cui Gustav Hofer e Luca Ragazzi hanno realizzato un documentario che oggi sta facendo il giro del mondo.

Una storia che comincia con una lettera di sfratto dall’appartamento romano in cui Luca e Gustav convivono da sei anni. Un trasloco che apre un conflitto nella coppia, combattuta fra radicamenti inconsci e possibilità alternative. Da una parte Luca e il suo desiderio di continuare ad abitare nella città in cui è nato e cresciuto; dall’altra Gustav e il suo progetto di emigrare a Berlino, “dove gli affitti costano un terzo che a Roma”, eguagliando la scelta dei tanti amici che già hanno lasciato quel Paese in cui non riuscivano più a riconoscersi.

Un bivio che decidono di superare a bordo di una 500 che cambia colore, percorrendo la penisola da nord a sud, fra oscenità e luoghi comuni, fra cliché e paesaggi da cartolina, alla ricerca dell’agognata risposta richiamata dal titolo del film. Sei mesi di viaggio in 75 minuti, peregrinando fra le meraviglie e le vergogne del nostro Bel Paese, per mettere in luce le sue eterne contraddizioni e quell’infinità di motivi per cui vale la pena di andare o restare.

Partendo dai grandi marchi, Gustav e Luca cominciano con l’intervista a un’operaia della Fiat di Torino e proseguono con una visita all’ultima fabbrica italiana della moka Bialetti, che nell’aprile 2010 ha messo in mobilità i centoventi dipendenti dello stabilimento di Omegna (Piemonte) per chiudere e spostare l’intera produzione in un Paese dell’est europeo.

Parlando della rinomata cucina italiana l’inquadratura si sposta verso il fondatore di “Slow Food” Carlo Petrini e prosegue il cammino verso la Calabria di Rosarno, per registrare le drammatiche condizioni dei braccianti agricoli che per venticinque euro al giorno lavorano fino a dodici ore, raccogliendo le arance e i pomodori che poi finiscono sulle nostre tavole…

Fra scandali e “Ruby-gate” Luca e Gustav si ritrovano alla manifestazione “In mutande ma vivi”, tenutasi il 12 febbraio 2011 al Teatro Dal Verme di Milano e organizzata dal direttore del Foglio Giuliano Ferrara per ribattere agli attacchi contro l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Poi l’intervista a Lorella Zanardo, autrice del documentario “Il corpo delle donne”, e una piccola visita a Predappio, cittadina emiliana che ha dato ai natali Benito Mussolini e che oggi rappresenta la meta preferita dai vacanzieri fascisti.

La spedizione continua a Napoli, fra spazzatura e panorami da sogno, e poco dopo in Sicilia, tra la mafia descritta dalle commoventi parole di Ignazio Cutrò (imprenditore sotto protezione) e la cultura argomentata dalle forti sentenze di Andrea Camilleri, secondo cui “lasciare il proprio Paese per scelta equivale a disertare”.

Si procede con i dodici ecomostri di Giarre e l’ingegnoso progetto dell’Incompiuto Siciliano, per poi riattraversare il mare verso la Puglia di Vendola e di Padre Fedele, che delinea i pregi e i difetti dell’Italia attraverso la metafora: “Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”…

Una traversata attraverso i vizi e le virtù degli Italiani, con statistiche e immagini da sconforto, ma sempre accompagnate da straordinarie parole ed esperienze in grado di far tornare il sorriso anche sulla bocca dei più scettici pessimisti.

Si può guardare il documentario cliccando qui: http://tv.wired.it/entertainment/2012/05/09/emigrare-o-resistere-scoprilo-nel-documentario-italy-love-it-or-leave-it.html

 

Cammariere e Concato

La primavera ci ha regalato due importanti uscite discografiche. Infatti possiamo ascoltare i nuovi brani di Sergio Cammariere e di Fabio Concato. Andiamo in ordine di uscita discografica ed ecco a voi l’omonimo album: “Sergio Cammariere”. Dopo le “evasioni arabeggianti” dell’album “Carovane” che poco avevano convinto pubblico e critica, Cammariere torna sui suoi passi e soprattutto ridiventa padrone del suo stile a metà tra il cantautorale, lo swing ed il jazz. Si presenta ai suoi fans con un album carico di energia e con la formazione che lo spalleggia al completo da anni in dischi e tour. Album piacevole anche se, devo ammetterlo, non va troppo al di là delle aspettative. Ottime le parti musicali ma le idee ricalcano spesso temi e melodie già ascoltate negli album passati, quelli che lo portarono alla ribalta delle scene musicali da “Tutto quello che un uomo” in poi. Ecco la track list:
1.Ogni cosa di me. E’ il brano che apre l’album nonché il primo singolo ufficiale che ha anticipato il disco.
2.Inevitabilmente bossa. La tromba di Fabrizio Bosso introduce questo brano appunto “bossa” con il secondo testo di Roberto Kunstler.
3.La mia felicità. Un bel ensamble di fiati prelude a questo brano scorrevole che ha però un “qualcosa” di già sentito.
4.Il principe Amleto. Il violino di Olen Cesari fa partire questa “ballata” che Cammariere scrive sulle parole di Sergio Secondiano Sacchi (Liberamente tratto da Vladimir Vysotskij) raccontandoci in musica le angosce del principe Amleto.
5.Transamericana. Latin ed il Cammariere che conosciamo con le parole di Giulio Casale.
6.Come è che ti va? Testo rielaborato da Bardotti e Giacomelli di “Onde anda voce”.
7.Controluce. Brano più “intimista” e ancora il testo di Casale.
8.Thomas. Anche in questo album non mancano i brani strumentali
9.Notturno swing. Un bello swing dall’aria romantica e folle.
10.C’era un favola. Ecco un’altra ballata “alla De Andrè”.
11.Buonanotte per te. Brano soft che annuncia la chiusura dell’album.
12.Essaouira. L’album si chiude con un altro brano strumentale.
Il tour di Sergio Cammariere e già cominciato e proseguirà nell’estate. Seguitelo su http://www.sergiocammariere.com

Album “5 stelle con lode” invece per Fabio Concato e il suo “Tutto qua”. Testi, musiche e arrangiamenti di qualità come non se ne sentivano da un pezzo negli album di musica italiana. Un ritorno sulle scene dopo ben undici anni dall’ultimo album di inediti. Concato entra con “umiltà” anche nella presentazione di questo album, chiedendo scusa ai suoi fan e a se stesso per aver fatto passare così tanto tempo per un nuovo lavoro. Ma ora è arrivato il nuovo Concato e va assaporato con molto piacere. Ecco la track-list:
1.L’altro di me. E’ un po’ l’emblema di questo album e del ritorno: ti apetterò, l’altro di me è finalmente tornato
2.Stazione nord. Si sentono gli odori, si vedono le immagini si percepiscono gli stati d’animo di questa storia d’amore che sta finendo in mezzo alle persone della stazione nord.
3.Tutto qua. Brano sull’immigrazione e sulla dignità di chi non si è ancora integrato nel nostro Paese. Niente luoghi comuni o ideali da super-uomo, ma la semplice e profonda riflessione di un uomo di fronte a questa “gente da difendere” e “che è meglio non guardare sennò sarà un rogna”.
4.Papier mais. Un raffinato viaggio di pensieri su una strada Bretone.
5.Carlo che sorride. Brano dedicato a Carlo Gargioni, musicista morto per una leucemia fulminante e amico di Concato. Una musica non eccessivamente malinconica e che sorride alla vita passata tra i due musicisti. C’è affetto, la vera cosa che si sente.
6.Se non fosse per la musica. Voce e il piano di Stefano Bollani, è vero jazz. Concato si lascia andare con le sue doti e Bollani che “fa reparto” da solo. Bello!
7.Non smetto di aspettarti. Ecco un altro brano da brividi, nella vera tradizione pop. Quando un amore manca con tutti e 5 i sensi.
8.Breve racconto di moto. Concato gioca con le parole e con i doppi sensi. Torna ragazzo con la moto e la voglia di fare l’amore e un bel arrangiamento.
9.Il filo. E’ la richiesta di una mano e di uno stimolo per tornare se stessi al meglio. Altro tema importante ma affrontato con disinvoltura con arrangiamenti sognanti fino al ritonello quasi “swedish blues”.
10.Sant’Anna (di Stazzema). Brano che racconta l’eccidio dagli occhi di un bambino. Strage che personalmente credo sconosciuta ai più, in realtà una strage con 560 morti.
11.Un trenino nel petto. Quando ho sentito per la prima volta questa canzone sono rimasto estasiato. Bellissimo anche il video ufficiale che raccomando a tutti. Semplicità e profondità, brano che merita una grande nota di merito.
Per ci ha comprato il cd è stata data la possibilità di scaricare gratuitamente 5 brani live acustici, un’altra belle iniziativa!
Anche per Concato ci sarà una importante stagione di concerti e spesso in bellissime location. Non perdetevi gli appuntamenti: http://www.fabioconcato.net

Le mille bocche della nostra sete – Recensione

 

le mille bocche della nostra sete“Tu sei nei miei pensieri e lì nessuno ti può toccare. Non so come farò quest’inverno. L’inverno mi fa paura. Ho paura di aver perso anche la felicità della neve come ho perso l’infanzia in collegio. Tu sei il sasso che ha infranto il vetro.”

È nell’estate del 1946, in un’Italia ancora distrutta dalla guerra, ma proprio per questo fiduciosa nella ricostruzione e nella rinascita, speranzosa per un futuro migliore, che Emma e Marzia si incontrano. Emma ragazzina eccentrica e lunatica, Marzia tranquilla e silenziosa, che ritorna in città dopo anni di collegio in Svizzera.

Una storia d’amore, sì, di quell’amore straziante e a tratti ossessivo, vissuto a pieno tra la gioia di essersi trovate, i dubbi sulla loro sessualità, e la paura di essere scoperte. Importanti sono anche i personaggi dei genitori di entrambe. Lo spettro della madre di Emma, dall’aspetto e dalla personalità contrastante; la figura del padre, ossessionato dalla figlia nei confronti della quale, come lui stesso afferma, è difficile provare solo sentimenti paterni. L’opportunismo del padre di Marzia invece è il fulcro di tutta la storia: se non avesse deciso di mandare Marzia a trascorrere le vacanze da Emma, pensando così di facilitare la collaborazione del padre di quest’ultima nella sua fabbrica, le ragazze non si sarebbero mai innamorate.

Guido Conti

La madre di Marzia è un personaggio debole e insicuro in apparenza e a tratti ambiguo. Le paure delle ragazze si rivelano fondate, il loro amore deve fare i conti con i pregiudizi  del mondo degli adulti. Marzia fugge da quell’amore “malsano e deviato” (così definito dalla stessa). Le due sembrano divise per sempre: Emma costretta ad andare a studiare in Inghilterra, Marzia data in sposa all’odiato Pierre e trasferitasi a Buenos Aires. Dopo anni di lontananza le loro strade sembrano destinate ad incrociarsi ancora.

 

Il libro di Guido Conti (qui una biografia), edito da Mondadori, è un libro sicuramente leggero, ma che indaga in modo molto sottile la psicologia di tutti i personaggi. La passione di due ragazze vissuta tra la semplicità e la freschezza della loro giovane età e una sensualità concreta.

Kathrine.

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Il Cinesemaforo, qualcosa che non avevate mai visto.

I had a dream.

La homeSì, feci un sogno, e sognai il layout grafico di quello che sarebbe poi diventato il Cinesemaforo: la locandina di un film e un semaforo. Tutto qui.
La funzione del Cinesemaforo sarebbe stata quella dei normali semafori stradali, che fanno passare, avvertono di fermarsi o fermano gli automobilisti, solo che si sarebbe applicato al pubblico dei cinema e del videonoleggio.

VERDE: Visione consigliata a tutti, senza controindicazioni. Potrebbe essere un buon film o un capolavoro, ma non si accettano reclami: i gusti d’altronde non si discutono.

GIALLO: Attenzione! Consigliato un approfondimento! Non indica affatto che il film è “abbastanza buono”, anzi: potrebbe piuttosto essere un bellissimo film non adatto a tutti gli spettatori, o anche un film bocciato con riserve! Leggete la recensione sul Cinesemaforo e, se non vi basta per decidere, qualche recensione più corposa in giro per internet!

ROSSO: Il semaforo più semplice. Il film è brutto: non andate a vederlo.

Con un’unica, gigantesca premessa:

I SEMAFORI NON SONO VOTI.
All’idea originale, effettivamente un po’ scarna e probabilmente spiazzante per gli ignari di questa logica, si aggiunse poi una recensione, ma in linea con il blog, quindi estremamente breve – massimo tre righe, senza eccezioni – ottima per essere copiata su un SMS da spedire agli amici, o sul proprio social network preferito.
Scopo del Cinesemaforo è dare un consiglio valido per la maggior parte del pubblico; un riscontro immediato e velocissimo per aiutare a decidere se andare o meno a vedere l’ultimo film uscito al cinema, o il blockbuster esposto con un’imponente scenografia nella vetrina del videonoleggio. O anche quel polpettone di tre ore e mezzo che stanno per dare su Sky o La7, perché no.

Un semaforo
Un semaforo

È importante capire che i semafori non sono voti perché altrimenti potreste trovarvi a inveire contro gli autori – chiamati giustamente “semaforizzatori” – perché hanno assegnato un giallo al vostro film del cuore, o un verde all’ennesimo, scialbo film Disney senza idee. Insomma, non siamo pazzi: diamo giallo ai film d’autore proprio perché sono d’autore e di conseguenza non sempre adatti al grandissimo pubblico, non perché “sono da 6”. Rosso non è 4 e verde non è 8.
Nei casi in cui nemmeno i semaforizzatori riescano a trovarsi d’accordo – ahimé – si ricorre al semaforo conteso, ovvero un giallo che contiene però tutte le recensioni in contrasto, con il relativo semaforo. In questi – fortunatamente rari – casi il Cinesemaforo perde un po’ di utilità, ma quanto meno saprete che il film in questione sarà un ottimo argomento di conversazione per la birra post-cinema!
Nel blog è presente anche una paginetta con brevi biografie dei semaforizzatori principali, allo scopo di far luce su eventuali incongruenze del colore del semaforo. Ognuno d’altronde ha i propri gusti personali (che nessuno mette in discussione), e non è mai facile rimanere obiettivi al 100%, per quanto ci si sforzi.

Leggere il Cinesemaforo
In Home page troviamo il riquadro con le novità, sia al cinema che in DVD. Qui vengono messi in evidenza gli ultimi 5 film semaforizzati di entrambe le categorie, con tra parentesi il nome del semaforizzatore e il link al semaforo. Per approfondire o essere sempre aggiornati sulle nuove uscite, trovate degli utili link nella colonna di destra, sotto i commenti recenti.
Nella stessa colonnina, in alto, troviamo il pulsantone per leggere un semaforo a caso, ottimo escamotage per scegliere un film quando non si ha un’idea precisa di quello che si vuole vedere. Se si vogliono evitare i rossi e i gialli, però, perché non si ha voglia di litigare con il resto della compagnia, c’è anche la possibilità di selezionare l‘elenco di tutti i semafori divisi per colore.
Per chi ha le idee chiare e per chi vuole avere un riscontro di quello che ha già visto, invece, nel menù a tendina c’è l’elenco di tutti i film (con nome originale e nome in italiano), di tutti i semaforizzatori e di tutti i colori.
Infine, sotto ogni semaforo, trovate i tasti rapidi di condivisione sui principali social network e, soprattutto, i “semafori utente” che potete utilizzare per dire la vostra e dare contro o supportare il povero semaforizzatore di turno.

I numeri del Cinesemaforo
Il Cinesemaforo è attivo solo da maggio, ma ha già sfornato quasi 300 titoli, di ogni genere, epoca e qualità. Riusciamo a coprire quasi la totalità delle nuove uscite al cinema e recuperiamo i vecchi titoli pubblicando spesso speciali tematici su registi, attori o generi; non temiamo nemmeno di stimolare il lettore con speciali atipici (un nostro semaforizzatore sta preparando uno speciale sui film muti!). Ogni giorno un semaforo e, quando c’è la possibilità, pubblichiamo anche anteprime (ultimo esempio “Machete”, di Robert Rodriguez, visto al festival di Venezia) o film d’importazione ancora non tradotti in italiano (“Kickass”).

Cinesemaforizzate anche voi!
Il Cinesemaforo nasce aperto e cerca l’interazione con il pubblico. Commentate, votate, condividete! Rendete vivo il Cinesemaforo e aiutateci a migliorarlo!
Avete trovato – o scritto voi stessi – una recensione di un film semaforizzato? Segnalatela, così sarà inserita nel semaforo stesso!
Siete cinefili con ottime capacità di sintesi e volete provare a cimentarvi con il Cinesemaforo? Mandate la vostra candidatura qui: email cinesemaforo, con oggetto “Candidatura Cinesemaforo” e tre recensioni di prova: un rosso, un giallo e un verde.
In questo momento cerchiamo in particolare qualcuno che segua più assiduamente di noi il cinema italiano e i film sentimentali.

A presto, sul Cinesemaforo!

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Isobel Campbell & Mark Lanegan – Hawk

[stextbox id=”custom” caption=”Un nuovo redattore su Camminando Scalzi!” big=”true”]La redazione di Camminando Scalzi è orgogliosa di dare il benvenuto al nostro nuovo redattore, MobyJones, al secolo Franco Cappuccio. Laureato in Teatro, MobyJones si occuperà delle nuove uscite musicali, e scriverà per noi anche degli approfondimenti sul teatro. Scopriamo insieme tanta buona musica. Buona lettura a voi e ancora un grande benvenuto a MobyJones![/stextbox]

Nel 2006, quando iniziarono a circolare le prime news di un imminente album firmato da Isobel Campbell e Mark Lanegan, tra gli addetti ai lavori circolò sbigottimento e scetticismo per una delle coppie musicalmente più strampalate degli ultimi anni. Lei era la bambolina con la voce sexy che suonava il violoncello nei Belle & Sebastian (che ha lasciato nel 2002 per divergenze artistiche), lui era il grunge-man che era stato leader degli Screaming Trees e per un periodo vocalist dei Queens Of The Stone Age. Insomma, gli antipodi musicali. Eppure “Ballad Of The Broken Seas”, il risultato dei loro primi sforzi, fu un disco decisamente interessante, che soffriva però di una certa ripetività di fondo, a cui seguì un disco interlocutorio, seppur di buona fattura, come “Sunday At Devil Dirt”, che s’immergeva in un’atmosfera western tanto cara a Lanegan. Diciamolo adesso per metterlo subito in chiaro: Hawk, il loro terzo lavoro, è sicuramente quello più riuscito. Il merito è soprattutto della Campbell, che negli ultimi anni ha compiuto un’evoluzione musicale particolarmente interessante, tanto da poterci far dire a buon diritto che è lei la vera regista di questo disco, essendo scrittrice dei testi, arrangiatrice, produttrice e contraltare, con la sua voce eterea, alle sonorità scure della voce di Mark Lanegan. Per questo disco si è avvalsa di collaboratori d’eccezione, come Will Oldham, guru della musica country, conosciuto forse meglio con lo pseudonimo di Bonnie Prince Billy, o come Kurt Wagner, leader dei Lambchop, storica band alternative-country della Louisiana. E i risultati si sentono: è incredibile come sia affinata la capacità della Campbell di distillare sapientemente sonorità country, soul e blues con grande ricchezza espressiva ed eterogeneità di stili. Il singolo, “Come Undone”, è una ballata d’amore molto ben costruita, e in cui possiamo ritrovare l’eco delle sonorità di “It’s a man’s man’s man’s world” di James Brown; in “You Won’t Let me Down” (che vede alla chitarra la collaborazione dell’ex Smashing Pumpkins James Iha) o in “Get Behind Me” è l’anima più rock del duo a fuoriuscire, mescolandosi a sonorità western, senza però scadere nell’oleografia. E la ricchezza di sonorità diverse è la marcia in più di questo album: in “Sunrise” (con solo la Campbell alla voce) sembra di avere nelle orecchie la Nancy Sinatra di “Bang Bang (My Baby Shoot Me Down)”, mentre in “Cool Water” (uno dei due brani in cui la Campbell “tradisce” Lanegan per duettare con una leggenda del country come Willy Mason) a farla da padrone sono le sonorità lo-fi alla Jonny Cash. E ancora in “Eyes of Green” la musica celtica, terra d’origine della Campbell, si sovrappone a sonorità americane, dove invece la cantante risiede a oggi. La chiusura dell’album è affidata alla ballata “Lately”, che risente chiaramente degli influssi di Bob Dylan (uno degli artisti più amati dalla Campbell); anche grazie ad un sapiente uso dell’Hammond, sembra di essere pervasi da una grande gioia, chiusura ideale dopo un viaggio tanto profondo.

Isobel Campbell e Mark Lanegan hanno due date previste in Italia: il 27 Novembre al Viper di Firenze e il giorno dopo al Tunnel di Milano.

Vi lasciamo al singolo, Come Undone.

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