L’Italia dei dialetti, l’Italia degli italiani.

La storia dei dialetti italiani nasce dallo sviluppo territoriale dei Romani e per merito della loro devastante capacità di conquistare le città, insediando i loro presidi e costituendo i municipi. I Romani partivano, occupavano e stringevano patti di alleanza, rispettando le popolazioni sottomesse, le quali trovavano utile imparare il latino, lo reputavano un arricchimento oltre che una stravagante curiosità.

Questo apprendimento pare avvenisse però in modo diverso secondo la loro dislocazione geografica e le loro condizioni culturali.

Le popolazioni di lingua tosca e gli abitanti delle zone confinanti con il Lazio latinizzarono i loro dialetti nativi, mentre gli Etruschi, di lingua molto diversa, vicini a Roma, impararono il latino bene senza introdurvi particolari elementi del loro idioma. Le popolazioni più lontane e meno civili appresero invece il latino coniandolo dal latino rozzo dei mercanti e dei soldati che erano di passaggio nelle rispettive zone. Nell’Italia meridionale s’introdussero diverse parole greche e si subì l’influenza dei Galli, che parlavano il latino, ma con un accento diverso. La Sardegna, il Salento, la Toscana e la zona lagunare veneta non parteciparono all’integrazione linguistica, ciò determinò una situazione particolare  per cui si differenziarono tre tipologie di dialetti: quello settentrionale, quello della zona toscana e quello meridionale, ai quali si aggiungevano varie formazioni di dialetti autonomi come il sardo e il ladino.

Nel 1500 il primato culturale ed economico della città di Firenze portò in auge il fiorentino come lingua considerata comune a tutta la nazione. Nel 1600 la lingua italiana si caratterizzò per il suo profilo altamente letterario. Infatti, veniva usata nei grandi centri cittadini al posto del latino, ma soltanto nelle occasioni più impegnative (come ad esempio per i sermoni o le cerimonie pubbliche), mentre in tutte le altre regioni si continuavano a utilizzare esclusivamente i dialetti.

Al momento dell’unificazione d’Italia, 150 anni fa, la nostra lingua si presentava come una varietà multiforme e differenziata di dialetti e culture diverse che la resero a tutti gli effetti una realtà arcobalenica.

Si racconta che per la gran parte degli italiani la lingua italiana era considerata come una lingua straniera: incredibile ma vero, su 25 milioni di italiani si potevano calcolare solo circa 600 mila persone che la utilizzavano come lingua principale, e il 90% di queste era concentrata nel solo centro Italia.

Ancora più incredibile il fatto che a dare uniformità di linguaggio al nostro amato stivale è stata la televisione, che utilizzando un linguaggio unico su scala nazionale diffuse ampiamente l’italiano. Quando partì ufficialmente la televisione in Italia, il 3 gennaio 1954,  era consuetudine diffusa che decine di persone si concentrassero davanti alla tv, in quasi tutte le case italiane, per osservare incuriositi quel mostro tecnologico che incosciamente influenzava il linguaggio di un intero popolo. Per la serie “quando la televisione è anche cultura…”.

Oggi è davvero improbabile pensare a un arricchimento culturale per merito della televisione, beh… Queste sono solo riflessioni, ma sono anche i paradossi della storia. Uno studio recente ha dimostrato che la Sicilia rappresenta la regione che, insieme al Lazio, alla Campania e alla Lombardia, ha arricchito più di tutte le altre, con prestiti di parole, regali di termini, vocaboli ed espressioni, la lingua italiana.  Sognare una lingua italiana universale, che calpesti le ceneri ancora calde dei dialetti, probabilmente non è un’ambizione del nostro bel paese, ma neanche il sogno di chi scrive. I dialetti sono la nostra storia, sono i nostri ricordi, sono le nostre risate e le nostre grida di disperazione, ma soprattutto sono il nostro modo migliore per sentirci ogni giorno “italiani”.

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