È tempo di (semi)finali

Sabato e domenica prossima, in un tabellone nord vs sud, si sfideranno per accedere alla finalissima dei mondiali Galles – Francia da una parte e Australia – Nuova Zelanda dall’altra.

Vediamo di analizzare le squadre.
Il Galles è la sorpresa del lotto. È la squadra rilevazione di questo mondiale, ha saputo interpretare magnificamente il quarto con l’Irlanda (nettamente favorita) e si merita di essere dove è. Contro l’Irlanda ha fatto la parte di Davide contro Golia, difendendo caparbiamente per la maggior parte del tempo e punendo poi gli irlandesi al primo errore. Diciamo che è la nostra Cenerentola, quella che si tifa perché è meno grande delle altre.
La Francia ha pescato il jolly contro l’Inghilterra, nel relativo quarto di finale. Lievremont, coach dei transalpini, ha vissuto una fase premondiale e tutto il periodo dei gironi con il fiato dei media sul collo, reo di far giocare i suoi ragazzi fuori ruolo e decisamente male (verissimo). Lui ha sempre risposto cercando di far gruppo, insultando, alzando i toni, evidentemente memore dell’effetto Lippi al mondiale 2006 o guardando al Mourinho del presente. Fatto sta che la Francia ha già un piede in finale, essendo nettamente favorita nello scontro con i gallesi, ha un organico che non ha nulla da invidiare a quello della Nuova Zelanda (nel 2007 gli All Blacks furono proprio rimandati a casa dai francesi ai quarti) e ha battuto l’odiata Inghilterra ai quarti grazie ad un’intensità ed una determinazione sconosciuta agli inglesi e ad un primo tempo da favola terminato sul 16 a 0. Pronostico: Francia (ma il cuore è con i gallesi)
Andiamo dall’altra parte del tabellone.
L’Australia ha già giocato una prima teorica finale nel quarto contro il Sud Africa, campione uscente. La partita di sabato mattina è stata al cardiopalma; mentre gli italiani facevano colazione, l’Australia, demeritando, è riuscita a pescare il jolly contro la squadra più forte vista fin’ora, quel Sud Africa campione uscente e zeppo di campioni alla fine della loro carriera. Proprio questa è stata la chiave del match. 70 minuti di fuoco (ricordiamo che una partita ne dura 80), con la squadra africana avanti 9 a 8 e a dettare il gioco ma che non riesce a fare il break quando dovrebbe e potrebbe, punizione (sacrosanta) per l’Australia ed è James O’Connor (classe 1990), con una fucilata tra i pali, a marcare i 3 punti che portano gli australiani alla corte degli All Blacks. L’Australia parte da sfavorita; ha una squadra giovanissima, piena di campioncini con poca esperienza sulle spalle ma con quella genialità e quel tocco di irresponsabilità che potrebbe essere invece la chiave di volta della semifinale.
La Nuova Zelanda è la squadra da battere, quella più forte, quella che tutti si aspettano che domini l’avversario. Cosa che non è riuscita domenica mattina contro l’Argentina. Una partita che doveva essere a senso unico e piena di mete, è stata invece una bolgia infernale, che ha visto da una parte i Pumas combattere fino alla fine su ogni pallone rovinando il gioco e i piani degli All Blacks che pensavano di fare una passeggiata e che di mete ne hanno segnate solo 2 e la prima al 67′. Il problema principale degli All Blacks è l’infortunio di Dan Carter, mediano d’apertura e giocatore più forte del mondo. Il problema muscolare alla coscia ha mescolato le carte in casa Nuova Zelanda e chi dovrebbe prenderne il posto (Slade in prima battuta e Cruden in seconda) appare non all’altezza.
Che questo possa rivoluzionare una coppa del mondo che all’inizio appariva già scritta?
Pronostico: All Blacks (ma il cuore è con gli australiani)

Rugby, questo sconosciuto

Il rugby non è impossibile da capire.

Ci sono 15 giocatori per squadra, 2 linee di meta, l’obiettivo è quello di arrivare oltre quella linea e schiacciare in terra la palla. Ovviamente la squadra avversaria sarà lì per impedirtelo. Niente cazzotti, schiaffi, calci. O almeno non sotto gli occhi dell’arbitro. Il giocatore che ha la palla si ferma afferrandolo dalle spalle in giù, strattonandolo, facendolo rotolare, facendolo cadere e quello si chiama placcaggio. Ovviamente la palla si può passare, ma solo all’indietro. E questo lo diciamo per dovere di completezza, perché credo sia l’unica cosa che sanno tutti sul rugby.

Si scende con 15 giocatori in campo, dicevo. Dal numero 1 all’8 (i numeri sono legati al ruolo, non sono personali come nel calcio) sono per il pacchetto di mischia, 9 e 10 per mediano di mischia (il geometra, quello che decide cosa fare con la palla in ogni situazione) e mediano d’apertura (il fantasista, quello che decide cosa fare con la palla in attacco), dall’11 al 15 per i trequarti, quelli che corrono.

Le situazioni di gioco, tutto sommato, le possiamo dividere in 3 parti: il placcaggio. Il giocatore, palla in mano, viene atterrato da un giocatore avversario. In questa situazione la palla deve essere sempre immediatamente disponibile per essere giocata, quindi chi aveva la palla la deve lasciare e chi ha placcato deve liberare dalla presa il giocatore per permettergli di metterla a disposizione, altrimenti è fallo. Sopra ai due giocatori atterrati, si forma una lotta tra le due squadre per guadagnare il possesso del pallone, fermo a terra. Questa si chiama ruck. Nelle ruck è vietato entrare lateralmente (fuorigioco), ma bisogona passare dai piedi dell’ultimo giocatore (vedi immagine a lato). Il resto della squadra che difende si schiera in linea a formare un muro difensivo.

Il calcio. Si può calciare nel rugby, non è una bestemmia. Il fatto però che la palla abbia quella forma dannatamente irregolare, rende il calcio un terno al lotto, una di quelle cose da fare solo se sai bene cosa stai facendo. Esistono vari tipi di calci. Il primo è il calcio drop, ovvero il calcio fatto di controbalzo tra i pali. Se riesce sono 3 punti. Poi c’è il calcio up&under, ovvero il calcio a campanile. Non necessita di rimbalzo e può essere afferrato da tutti i giocatori in difesa e dai giocatori in attacco (ovvero dalla squadra che ha calciato) che partono da dietro il calciatore (altrimenti è fuorigioco). Si può calciare anche in rimessa laterale, ed è un ottimo modo per alleggerire la pressione della squadra avversaria. Se il calcio avviene all’interno della linea dei 22 metri si riparte con una touche da dove è uscito. Se il calcio avviene all’esterno della linea dei 22 metri si riparte con una touche da dove è uscito solo se è prima rimbalzato per terra all’interno del campo di gioco, altrimenti, se questo non dovesse avvenire, si riparte con una touche da dove è avvenuto il calcio (e questo è molto male).

L’attacco. L’attacco sfocia in due vie. La prima è quella della forza bruta. Il mediano di mischia raccoglie la palla dalla ruck e la gioca con gli avanti, gli omaccioni dal numero 1 all’8. Questi, a testa bassa, avanzano (o almeno ci provano) centimetro dopo centimetro, metro dopo metro, in una sfida eterna con gli avanti della squadra avversaria. Oppure il mediano di mischia la raccoglie, la passa all’apertura che, tramite geometriche linee di corsa con i suoi compagni, cerca di trovare il pertugio giusto per il passaggio al trequarti libero di correre veloce come un fulmine verso l’area di meta.

Andrea Masi: il Re del Sei Nazioni

Voglio iniziare questo articolo facendovi un nome: Andrea Masi. Molti di voi probabilmente neanche immaginano lontanamente di chi stiamo parlando. I più spavaldi crederanno che sia un parente proveniente da qualche ramo dell’albero genealogico del direttore generale della Rai, qualcun altro, che magari ha frequentato la mia stessa università, crederà che si tratti dell’omonimo professore. Invece devo stupirvi tutti, o quasi, perché sto parlando dell’estremo della nazionale italiana di rugby. Masi è stato eletto miglior giocatore del torneo Sei Nazioni 2011. Un successo davvero inimmaginabile per lui. Non solo perché ha giocato soltanto due delle cinque partite della nazionale italiana, ma perché l’Italia si è classificata ultima nel torneo, portandosi a casa l’ennesimo “cucchiaio di legno”, un’istituzione nel Sei Nazioni. Il cucchiaio di legno, curiosamente, nasce da una tradizione ereditata dagli studenti di Cambridge, i quali erano soliti regalare un cucchiaio di legno in segno di scherno e derisione ai compagni di corso che prendevano i voti più bassi agli esami.

Il giocatore aquilano della nazionale azzurra e del Racing Metro, squadra della periferia di Parigi, è il primo rugbista italiano a ricevere il prestigioso riconoscimento da quando la nostra nazione partecipa alla competizione, cioè dal 2000. Masi, che ha esordito in nazionale a soli 19 anni, ha ricevuto il premio a Parigi presso la club-house del proprio club di appartenenza. Ha ottenuto più del 30% dei voti totali dei tifosi di rugby che hanno seguito la manifestazione e che sono rimasti, evidentemente, piacevolmente colpiti dalle due prestazioni del nostro azzurro.

Fino a qualche anno fa se mi avessero parlato del rugby mi sarei messo a ridere, non comprendendo neanche la differenza dal football. Vi assicuro che non vi sto prendendo in giro se vi dico che qualcuno tutt’oggi crede che l’unica differenza tra i due sport sia data dal fatto che nel football si gioca con i caschi e con l’”armatura”, mentre nel rugby senza. Oppure, non mi stupirei, perché qualcuno ha avuto il coraggio di affermare anche questo, cioè che la differenza sta nel fatto che il football si gioca negli Stati Uniti, il rugby in Europa. Cose dell’altro mondo.

Ho avuto il piacere di conoscere un mio coetaneo, amante del rugby e non ci ho messo molto ad appassionarmene. Certo, non è molto intuitivo come sport, richiede una conoscenza approfondita delle regole anche soltanto per riuscire a seguirne una partita. Tutto questo sempre che non vi limitiate a riconoscere una meta, piuttosto che un “calcio”. La cosa che più di tutte, da amante del calcio (ahimé!), mi ha subito affascinato è che per quante botte possano prendere, i giocatori di rugby restano sempre in piedi, se crollano in terra sanguinanti non chiedono i soccorsi e non interrompono mai il gioco. Utopia pura per i calciatori. Le differenze sportive ma soprattutto “etiche” tra i due sport sono infinite, al punto tale che non vale neanche la pena elencarle. Per oggi ci limitiamo a segnalare una vittoria per il nostro sport, quella di Andrea Masi, e un ultimo posto non poi così tragico dato che la nostra unica vittoria è avvenuta proprio contro i nostri cugini d’oltralpe francesi. Bravo Masi, e adesso terzo tempo e birra per tutti.

Balotelli e l'ipocrisia razzista

Ci risiamo.
Anche ieri a Bordeaux si è sentito il coro: “Se saltelli muore Balotelli”, intonato nel settore dei tifosi della Juventus.
Dopo questo scorretto jingle, Buffon e Secco sono andati sotto la
curva a cercare di persuadere i 300 dal cantare, inutilmente.
Ci ha provato allora
lo speaker dello stadio ricordando che a Bordeaux il razzismo non è accettato (in quali città francesi quindi è accettato?).
Dopo essere stati rimproverati, i 300 tifosi si sono calmati, hanno ripreso fiato e hanno intonato:”Un negro non può essere
italiano”.
Lì scommetto che Secco ha pensato “Cazzo era meglio il primo coro”.
Punto 1 – Il primo coro non è razzista, è un coro
da stadio, vecchio quanto il “Devi Morire” intonato quando un
avversario rimane a terra infortunato.
Non ho mai sentito allo
stadio “Coraggio riprenditi”, o “Avversario facci un gol”.
Non è il rugby.
Punto 2 – Il secondo coro è razzista, ovvio. Ma finchè ci sono
Ministri della Repubblica Italiana che inneggiano all’inesistente
“Padania”, perchè stupirsi? Quelle persone sono state elette dal
popolo. Li rappresentano. Perchè stupirsi?
Prima di tutto, puniscano tutti i rappresentanti dei cittadini che si macchiano di razzismo, dai parlamentari -http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/01_Gennaio/15/calderoli.shtml –  ai comunali – http://www.camminandoscalzi.it/wordpress/il-white-christmas-di-brescia.html – . Solo così si può urlare allo scandalo dei cori razzisti negli stadi senza ipocrisia.
Questo deprecabile razzismo da stadio sta rovinando l’immagine di milioni di razzisti per bene. (Altan)

Ci risiamo.

balotelliAnche ieri a Bordeaux si è sentito il coro: “Se saltelli muore Balotelli”, intonato nel settore dei tifosi della Juventus.

Dopo questo scorretto jingle, Buffon e Secco sono andati sotto la curva a cercare di persuadere i 300 dal cantare. Inutilmente.

Ci ha provato allora lo speaker dello stadio ricordando che a Bordeaux il razzismo non è accettato (in quali città francesi quindi è lo è? ).

Dopo essere stati rimproverati, i 300 tifosi si sono calmati, hanno ripreso fiato e hanno intonato: “Un negro non può essere italiano”.

Lì scommetto che Secco ha pensato “Cazzo era meglio il primo coro “.

Punto 1 – Il primo coro non è razzista, è un coro da stadio, vecchio quanto il “devi morire” intonato quando un avversario rimane a terra infortunato.  Non ho mai sentito allo stadio un “coraggio riprenditi”, o “avversario facci un gol”.

Andiamo, non è il rugby.

Punto 2 – Il secondo coro è razzista, ovvio.

Moneta Lega CLP 003Espressione di una mancanza di cultura e civiltà che in Italia è dominante. Viviamo in una provincia che spera nella botta di culo.  O per dirla alla Diogene: Preferisco avere una goccia di fortuna che una botte di saggezza”.

Quello che penso sempre in questi casi è che finchè ci sono Ministri della Repubblica Italiana che inneggiano all’inesistente “Padania“, perchè stupirsi? Quelle persone sono state elette dal popolo. Li rappresentano. Perchè stupirsi?

Perchè non puniscono  tutti i rappresentanti dei cittadini che si macchiano di razzismo? Dai parlamentari http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/01_Gennaio/15/calderoli.shtml –  ai comunali – http://www.camminandoscalzi.it/wordpress/il-white-christmas-di-brescia.html – .

Se lo facessero, allora si potrà urlare allo scandalo dei cori razzisti negli stadi senza ipocrisia.

Questo deprecabile razzismo da stadio sta rovinando l’immagine di milioni di razzisti per bene. (Altan)