Nanotecnologie: "Surely You're Joking, Mr. Feynman!"

Intro

n1028560208_721281_9967Immaginatevi un “normale” malato di cancro. Radioterapia, chemioterapia, ormoni, chirurgia, terapia a cattura neutronica del boro. Nella maggior parte dei casi tutti questi trattamenti risultano semplici palliativi, in grado di allungare di qualche mese o anno la vita del paziente, senza magari consentirgli di migliorare sensibilmente la propria qualità della vita. La chirurgia non sempre è applicabile, e dove lo è non è mai efficace al 100% . La radioterapia è di sicuro meno invasiva, ma anche in questo caso non si ha l’assoluta certezza della totale eliminazione del tumore. Infine, la chemioterapia si porta dietro degli effetti collaterali estremamente debilitanti, oltre a non garantire, neppure in questo caso, il successo sul tumore. Ora provate a immaginare lo stesso malato terminale, a cui i farmaci vengono somministrati non per endovena, ma tramite una miriade di microscopici robottini, in grado di agire selettivamente sulle singole cellule tumorali, in maniera tale da effettuare il trattamento solo sulle cellule che risultano effettivamente malate. E pensate a quante altre applicazioni potrebbero avere questi “nanodroidi”, dalla rigenerazione dei tessuti danneggiati negli esseri umani, al trattamento dei materiali direttamente a livello molecolare e così via. Di seguito cercherò di spiegarvi come le nanotecnologie promettano di espandere non solo la nostra capacità di manipolazione spaziale della materia, ma anche di rendere la stessa eccezionalmente più versatile negli usi che se ne possono fare.
Surely You’re Joking, Mr. Feynman!
nanomachineLa prima persona ad avere elaborato idee a proposito della possibilità di arrivare a intervenire sulla materia a livello molecolare e sub molecolare fu il fisico statunitense Richard Feynman. Nel suo discorso del 1959 (“There’s plenty of room at the bottom”, qui trovate la trascrizione integrale in lingua, ndR), cui ho preso il titolo per questo articolo, egli ipotizzava la possibilità di intervenire sui singoli atomi partendo dalla realizzazione di minuscoli attrezzi in scala 1:4, con cui realizzare ulteriori attrezzi sempre in scala 1:4 e così via, fino a raggiungere un rapporto tra partenza e arriva pari a 1:25000. Feynman immagino le possibili applicazioni che una tale possibilità ci avrebbe offerto. In particolare, egli considerava di primaria importanza riuscire a realizzare computer le cui componenti fossero sempre più miniaturizzate, e microscopi in grado di superare il limite di diffrazione (e quindi di risoluzione) allora raggiunto con i SEM (microscopio elettronico a scansione). La potenza di un computer aumenta anche in funzione della densità di transistor al suo interno, così realizzare transistor più piccoli significa aumentare la potenza del processore, senza aumentarne il consumo o le dimensioni fisiche. I recenti progressi nell’industria dei semiconduttori, dove oramai l’ordine di grandezza per le componenti si attesta sui 45nm (nanometri, ovvero un milionesimo di millimetro, ndR), e la realizzazione del  microscopio elettronico a effetto tunnel prima, e di quello a forza atomica dopo  dovrebbero darvi un’idea di come effettivamente la miniaturizzazione permetta di lavorare più velocemente e con maggior precisione. Dai tempi del premio nobel americano i progressi in questo campo sono stati tanti, soprattutto nel campo dei materiali le cui proprietà dipendono non tanto dal comportamento collettivo del bulk in considerazione, quanto dalle caratteristiche fisiche, chimiche e – perché no – meccaniche delle singole molecole che lo compongono.
Nanotubi, macroeffetti
646px-Types_of_Carbon_NanotubesLa più piccola nanomacchina attualmente esistente è stata realizzata all’università di Bologna, e consiste in un micromotore a luce: una molecola filiforme lunga circa 6nm fa da asse di rotazione per una molecola cilindrica di 1.3 nm di diametro. Se sottoposta ad illuminazione, la molecola inzia a ruotare fino a 60000 giri al minuto circa. Sebbene non abbia allo stato attuale delle cose ancora un’applicazione, il risultato è comunque notevole, e dimostra l’effettiva possibilità di manipolare efficacemente i materiali su scale nanometriche. Una delle applicazioni più promettenti riguardo le nanotecnologie riguarda la realizzazione e il successivo utilizzo dei cosiddetti nanotubi in carbonio.
Tutto inizia nel 1985, quando il chimico R. Smalley si accorse che in particolari situazioni di pressione e temperatura, gli atomi di carbonio tendono a formare delle molecole di forma approssimativamente sferica (i fullereni), che una volta lasciati rilassare tendono ad arrotolarsi su se stessi, formando delle strutture a tubo… I nanotubi, appunto. Un nanotubo di questo tipo può avere un diametro compreso tra i 0,7 e i 10 nm, a seconda del numero di “pareti” che compongono il nanotubo e della struttura che lega gli atomi tra loro. Dato l’elevatissimo rapporto tra lunghezza e diametro di questi oggetti (nell’ordine dei 10^4) , è possibile considerarli come nanostrutture virtualmente monodimensionali, con tutta una serie di caratteristiche peculiari.
Se tiri la corda, prima o poi NON si spezza.
La resistenza meccanica è uno dei loro punti di forza. Questa caratteristica dipende in particolar modo dalla presenza nella struttura cristallina di difetti e dall’intensità dei legami atomo-atomo presenti nel corpo in questione. La presenza di atomi di diverso tipo nel reticolo cristallino, porta ad una deformazione dello stesso e ad un indebolimento in generale della struttura. Per poter rompere completamente un corpo senza difetti strutturali di questo tipo, occorrerebbe rompere completamente e contemporaneamente tutti i legami di coesione della superficie perpendicolare alla trazione. Nella realtà la presenza di impurezze all’interno anche dei migliori materiali limita enormemente la forza necessaria a indurre la rottura. Per spezzare un nanotubo virtualmente privo di difetti, si dovrebbero vincere TUTTI i legami carbonio-carbonio che lo tengono assieme. Con una resistenza 100 volte maggiore dell’acciaio, a un sesto del suo peso, il nanotubo in carbonio è semplicemente il miglior materiale mai realizzato, per lo meno da un punto di vista ingegneristico. L’estrema flessibilità di cui gode lo rende ideale per  rinforzare i materiali compositi di ultima generazione, similmente a quanto si fa attualmente con fibra di carbonio, kevlar o fibre di vetro.
Conduzione e sensibilità ai campi elettrici
asdSe non bastassero le sue caratteristiche meccaniche, i nanotubi in carbonio presentano anche notevoli proprietà elettriche. Innanzitutto, sono estremamente sensibili alla presenza di campi elettrici, arrivando a piegarsi anche di 90° per seguire le linee di forza del campo. Una volta interrotta l’emissione elettrica, il nanotubo riprende immediatamente la forma originale. E’ quindi possibilie costruire switch, nanoattuatori elettrici e perfino delle vere e proprie fibre muscolari artificiali, che ovviamente mantengono le incredibili proprietà meccaniche elencate sopra. Sebbene i nanotubi presentino una struttura elettronica (caratteristica fondamentale per descrivere la capacità di condurre correnti elettriche) piuttosto simile a quella della grafite (che è un buon conduttore), le loro proprietà elettriche sono del tutto particolari, legate alla geometria stessa del nanotubo. A seconda della chiralità (il senso di rotazione della spirale che i fullereni seguono forando il nanotubo) del nanotubo, esso può infatti comportarsi come un metallo o come un semiconduttore. In determinate condizioni inoltre, gli elettroni possono passare all’interno del nanotubo senza indurre effetto Joule (cioè senza creare calore, ndR), aspetto molto interessante quando si tratta di realizzare microprocessori. L’attuale tecnologia al silicio è infatti continuamente limitata dalla potenza, che un processore finisce per dissipare sotto forma di surriscaldamento. È stato calcolato che un microprocessore ai nanotubi è in grado di raggiungere senza problemi i 1000Ghz, senza doversi curare troppo del surriscaldamento.
Problemi irrisolti
Come avrete intuito, produrre questi nanotubi non è impresa facile. Ci sono varie tecniche, sia per produrre i nanotubi che per separare i refusi dai nanotubi correttamente formatisi, ma ancora adesso oltre il 90% della produzione viene buttata via perché totalmente inservibile. Questo rende il nanotubo in carbonio ancora troppo poco affidabile ed eccessivamente costoso per una produzione su scala industriale, lasciandolo relegato ancora ad un ambito sperimentale. Tuttavia le possibilità che si aprirebbero in moltissimi ambiti rendono la ricerca nel campo delle nanotecnologie estremamente promettente.
D’altronde, c’è proprio un sacco di spazio là in basso….