In questi giorni non si fa altro che parlare di lavoro, mobilità, precariato e di come sistemare questa terribile crisi che sta imperversando in tutto il mondo. Continuano a propinarci la solita manfrina trita e ritrita, come per convincerci che il lavoro è una cosa “passeggera”, che ci dobbiamo muovere, che – perdio! – siamo giovani, dobbiamo essere pronti a tutto. E mentre il politicante di turno o suo figlio super-raccomandato ci regalano simpatiche dichiarazioni su quanto sia sfigato il posto fisso, la laurea dopo i ventotto anni, abitare vicino a mamma e papà e così via, viene da chiedersi per quale ragione certe persone diano fiato alla bocca. Sì, d’accordo, le frasi non vanno estrapolate dal contesto, e su questo possiamo pure essere d’accordo. Il governo Monti si era tanto impegnato nei suoi primi giorni a mantenere una certa sobrietà dopo tanti anni di baracconate dei governi precedenti, ma ecco che i suoi esponenti (forse irretiti dalla ribalta, chi lo sa) si lanciano in simpatiche dichiarazioni che riescono a fare “incazzare” ancora di più quell’enorme fetta di popolazione che a oggi si barcamena tra uno stage non retribuito, un lavoro al call center di qualche mese e una speranza pari a zero sul proprio futuro. Era davvero necessario?
No, non lo era. Perché questo sistema politico-economico ha affossato e distrutto i sogni di un’intera generazione di ragazzi tra i venti e i trent’anni che non riescono in alcun modo a vedere la luce fuori dal tunnel. È un sistema che ha fallito sotto ogni aspetto, è servito soltanto ad arricchire di più i ricchi, e a devastare intere popolazioni (vedi la povera Grecia, dove ci sono situazioni da terzo mondo a causa del crack economico).
E allora tutti partono, scappano, emigrano. Altro che vicini a mamma e papà. Chi decide di restarci lo fa perché altrimenti dovrebbe dormire sotto un ponte, visto e considerato il costo di una casa, il mutuo che non ti danno senza un “monotono” posto fisso o l’affitto da moderni ladroni che troviamo nelle grandi e piccole città. Siamo una generazione affranta, senza speranze, senza sogni. Ed è questo il più grande fallimento di quest’epoca. Non il lavoro che manca, non la crisi economica. Vedere la faccia di una ragazza di ventisei anni, delusa e sconfitta, che ha due lauree e un master e lavora in un call center per mantenersi, facendo uno stage non retribuito che, chissà, un giorno potrebbe trasformarsi in lavoro, o gli occhi malinconici di un trentunenne che ha dovuto mollare gli studi, facendo tre lavori per aiutare il padre che ha perso il lavoro, lascia senza parole. E ogni giorno ci viene propinata la solita serie di ipotetici provvedimenti che dovrebbero migliorare le nostre condizioni di vita. E allora via il posto fisso (che noia!), ma il mutuo come lo faccio? Mobilità, che passione, ma se il lavoro dura tre mesi e per cercarlo ce ne vogliono dieci? Andiamo a vivere lontano da mamma e papà, siamo grandi dai, ma se gli affitti di un posto letto arrivano anche a cinquecento euro? E così via…
Sarebbe intelligente e saggio che tutti questi personaggi smettessero di dare aria alla bocca, che ritenessero le loro posizioni come degli immensi privilegi che si sono costruiti sulle spalle dei cittadini, e che imparino a stare quantomeno in silenzio. Se proprio non volete aiutare i sogni e le aspirazioni di questa generazione sfigata, se proprio non riuscite in nessun modo a darci un minimo di futuro in cui credere, almeno non prendeteci pure per il culo. È chiedere tanto?
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Che rabbia che fanno questi anziani politici e tecnici liberisti, doppia rabbia perché pronunciano queste dichiarazioni senza vergogna e senza rispetto. La nostra generazione vive un certo torpore, sedata dai confort, dal benessere e dall’amore dei nostri padri; perciò, secondo me, mancano a volte quell’immaginazione, quella fame, quegli stimoli di rimettersi in discussione che erano proprio dei nostri genitori. In realtà poi la crisi e chissà altro hanno cambiato lo scenario del lavoro e proprio qui sta l’equivoco tra generazioni: siamo tutti bamboccioni, sfigati, mammoni.
I politici ciò lo sanno perfettamente ed abusano di un umorismo nero per pubblicizzare come divertente il lavoro precario. Perché se il precariato non vi sta bene ricordate che “‘m’è dolce naufragar in questo mare”, che si tratta della penetrazione anale ben descritta da Luttazzi. Se il precariato è l’unica possibilità di lavoro, che vita “monotona” e “noiosa” che ci aspetta.
Articolo liberatorio, ci voleva proprio.
Questi tecnici con queste uscite frivole e pensate poco e male non fanno altro che palesare la loro lontananza assoluta dai problemi e dalle persone che dovrebbero risolvere e aiutare.
E’ proprio questo il punto… chi ci governa, non sa cosa vuol dire SOPRAVvivere.
Si. Perché non dovremmo chiedergli un bel niente. Ma che cavolo vi aspettate?? O il cittadino si fa carico delle proprie responsabilità e va a prendere a calci nel culo questi parassiti oppure nulla cambia! la classe politica è lo specchio del paese. questo è quanto. Fatela finita di lamentarvi, site uguali a loro, datevi da fare, cambiatelo questo paese! Gandhi diceva siate il cambiamento che volete nel modo. Basta chiacchiere. AGITE
Bell’articolo! Uno sfogo condivisibile e, credo, condiviso da tutti.
Non sono del tutto d’accordo con Ferdy, nel senso che le cose non sono proprio così semplici, ma è vero che la situazione politica che viviamo adesso è la naturale conseguenza di anni di non-politica e di imbarbarimento generale. Che significa datevi da fare? Quante persone devono scendere in piazza per far sì che il nostro futuro lavorativo non sia una collezione di contratti precari, se Dio vuole? 100.000, 1.000.000, 5.000.000? Che vuol dire? È vero che starsene al bar a bestemmiare non serve a niente, ma quindi? Certo, le imprecazioni al bar non risolvono nulla. Il malcontento deve essere manifestato, ma forse sarebbe meglio trarre insegnamento dal passato e riflettere sulle prossime scelte politiche, magari mettendo pressione già da adesso sulle forze che intendono rappresentarci.
E se a tutti coloro che siedono ora in parlamento non importasse nulla dell’Italia, dei giovani, della precarietà? Prendiamo anche questa ipotesi in considerazione. Cosa faremmo? Come agiremmo sapendolo?