Non sento di esagerare quando affermo che la condizione svantaggiata della donna è il dramma dei drammi, il più grande che esista da secoli.
Dalla notte dei tempi la donna si è dovuta adattare a una società di stampo patriarcale. Per secoli si è fatto in modo di arginare la presenza, su questo pianeta, di un essere straordinario come la donna. La si è imprigionata, ridotta al silenzio, bruciata, venduta. La si è addomesticata, demonizzata, si è finto di darle importanza, la si è ridicolizzata. La donna è stata definita inferiore così tante volte, nelle parole e nei fatti, che alla fine se n’è convinta. Impaurita e inconsapevole ha lasciato che il mondo fosse retto da una sola parte dell’umanità. Ogni campo dello scibile umano è occupato dagli uomini: l’economia, la politica, la scienza, la religione sono i primi esempi.
Essendo rimasti da soli, gli uomini hanno creato una società basata sul conflitto e sulla competizione. La terra ha cominciato a essere sfruttata, le guerre si sono susseguite. Di questo genere di economia vediamo ormai i risultati. La società però non può continuare a reggersi su un piede solo, e se osserviamo bene stiamo già notando i primi segni di cedimento di un siffatto sistema.


La donna ha cercato di riconquistare lo spazio perduto, spesso tradendo sé stessa. È arrivata al punto di imbracciare un fucile o di dare il suo assenso a una guerra. “Se gli uomini rispettano solo gli uomini” era il suo pensiero “l’unico modo per smettere di essere invisibile è essere come un uomo!” Ma una donna non è un uomo. Non possiamo adattarci a essere quello che non siamo.
Forse allora siamo nate per essere semplicemente belle? Forse è la nostra avvenenza la vera chiave d’accesso a questo mondo? Dimentiche di noi stesse, in cerca di approvazione da parte di un mondo che non ci considera più di tanto, andiamo a sgambettare in tv o facciamo grandi scalate sociali sfruttando il nostro corpo. Ma alla fine ci coglie una profonda tristezza e un senso di vuoto. Sentendoci sfruttate, chiediamo all’uomo di cambiare, di risolvere la situazione, senza renderci conto che siamo noi che ci dobbiamo svegliare.
Sfruttando la nostra intelligenza, abbiamo tentato la via della vendetta. Abbiamo indossato dei tailleur e abbiamo cominciato a urlare ordini agli uomini, nostri sottoposti. “Assaggia, uomo odioso, il sapore della schiavitù!”, abbiamo pensato con soddisfazione.

Ma io credo che alla donna non interessi davvero un potere di tipo dispotico. Niente paura, uomini, non credo che ci interessi davvero diventare le vostre tiranne. Una donna anziana un giorno mi disse: “in grembo portiamo sia maschi che femmine, come possiamo fare la differenza?”.
Non ci resta che tornare a noi stesse, a quello che siamo realmente. Ad esempio potremmo ascoltare con maggiore attenzione il nostro corpo, questa magnifica orchestra che ogni mese elimina il vecchio per salutare il nuovo, che cresce la vita, che produce nutrimento. Potremmo finalmente liberarci da questo odio millenario e dai nostri numerosi complessi. Capire che non siamo semplicemente “sentimentali”, bensì compassionevoli. Che non siamo “isteriche” ma piene di energie che chiedono di essere liberate. Riconquistiamo un nostro punto di vista. Come sarebbe l’economia per una donna? Quale tipo di saggezza potremmo produrre? Come sarebbe l’architettura femminile? E la politica femminile? E l’educazione femminile? E la medicina femminile?
Care donne, dovremmo davvero valorizzarci, riconquistare amor proprio e consapevolezza. Sarebbe bello che noi donne cominciassimo a imparare da altre donne, e che anche gli uomini possano imparare da noi, esprimendo così le loro capacità in modo nuovo e smettendo di odiare ciò che in loro ci somiglia.
Infine, di una cosa sono convinta: se questo mondo è davvero entrato in un processo di cambiamento, quest’ultimo non potrà che passare attraverso le donne. E sarebbe un cambiamento davvero profondo ed epocale, che nessuna rivoluzione sarebbe in grado di eguagliare.
Buon lavoro, donne.
Alcune letture:
“Le dee viventi”, di Marija Gimbutas, edizioni Medusa.
“La dea bianca”, di Robert Graves, Adelphi.
“Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley, edizioni Nord.